La storia di un capolavoro attraverso le principali edizioni a stampa e manoscritte
Nel 1605 usciva la prima parte di uno tra i capolavori della letteratura mondiale: il Don Chisciotte di Cervantes (1547 – 1616). La seconda parte uscirà nel 1615, un anno prima della morte del suo indimenticato autore.
La biblioteca nazionale Marciana di Venezia in collaborazione con l’Università Cà Foscari di Venezia – sezione di americanistica, iberistica e slavistica – ha pensato ad una mostra che potesse celebrare il capolavoro di Cervantes, in questo modo è nata Quixotte / Chisciotte MDCV – 2005. Mostra di edizioni rare e di pregio, traduzioni italiane e straniere nelle biblioteche veneziane.
Oggi, a pochi giorni dalla chiusura della mostra, si può dire che si è trattato sicuramente di una tra le esposizioni più viste in questi mesi invernali e, questa affluenza di massa, testimonia quanto, ad ogni livello culturale, Don Chisciotte esercita sempre lo stesso fascino.
La mostra sottolineava non tanto la lettura critica che fin dal suo apparire ha interessato il Don Chisciotte, ma un aspetto molto più materiale che, tuttavia, è essenziale perchè ha permesso a questo strampalato poema cavalleresco di giunger fino a noi: la tradizione manoscritta e a stampa del testo.
Si è voluto limitare il campo di ricerca dei testi alla zona veneziana e, nonostante, la ristrettezza del campo, si può osservare perfettamente quanto il testo di Cervantes abbia avuto una vita avventurosa quanto quella del suo protagonista.
Fin dal suo primo apparire il Don Chiciotte ebbe un successo tale che l’editore Francisco de Robles realizzò più di una ristampa. In Italia la prima traduzione si ha nel 1622 ad opera di Lorenzo Franciosini (che realizzerà anche un vocabolario e una grammatica di spagnolo, di cui due esemplari sono esposti in mostra), un fiorentino che da alle stampe la traduzione a Venezia, presso Andrea Baba, editore simbolo della Venezia seicentesca ancora capitale dei libri come avveniva un secolo prima.
Si dice che il successo di un testo si prova quando passa dal genere di appartenenza ad un altro, che, per esempio, lo parodizza: per quanto rimanda il Don Chisciotte, già parodia del poema cavalleresco, questo slittamento generico avviene tra il ‘600 e il ‘700 quando diventa farsa teatrale. Il Don Chisciotte di Baretti viene dato per il Carnevale del 1753 al Teatro Italiano di Londra e sancisce l’ingresso di Don Chisciotte e del suo servitore tra le maschere teatrali più note. Singolare è, poi, l’edizione Meli, in siciliano, che viene tradotta da Ugo Foscolo o il commento che Carlo Gozzi realizza nel 1738.
Don Chisciotte è stato un testo molto illustrato, ma l’edizione che ha fissato l’immagine di Don Chisciotte come un uomo alto e magro, con la barba appuntita e l’immancabile aria triste e riflessiva, si deve a Gustave Dorè: molte (e di inestimabile valore) le riproduzione offerte al visitatore. Cervantes è stato ripreso anche nel ‘900: lo ricorda come maestro Pirandello dei Sei personaggi in cerca d’autore, il Borgese degli scritti teorici e, per il Tempo, uscì, a metà ‘900, edizione illustrata dal visionario Dalì.
Chiude la mostra una rassegna di Don Chisciotte tradotti in Hindi, Arabo, Turco, Russo, Slavo, Albanese, Croato e Russo per dimostrare quanto sia andato lontano Don Chisciotte con il fido Sancho.