Rachmaninov trionfa su Anna Vinitskaja alla Fenice
Una cosa è certa: Rachmaninov funziona sempre e comunque! Del secondo concerto per pianoforte e orchestra tenuto al Teatro la Fenice lo scorso 10 febbraio, rimane il ricordo di un ciuffo di capelli rossi sul dolce viso della solista Anna Vinnitskaya, talentuosissima, almeno sulla carta, pianista russa poco più che trentenne, e quelli lasciati cadere a terra dal pubblico, dopo esserseli vistosamente strappati a mani piene per la travolgente eccitazione dovuta dalla conclusione di un irrigidito quanto sofferto terzo movimento.
Una serie di ossuti accordi introduttivi l’avevano fatto presagire, per non per parlare poi dei roboanti concertati con l’orchestra. Ma l’ispirazione è scesa durante il secondo movimento, dal soffitto del lucente teatro verso il quale la pianista rivolgeva ripetutamente lo sguardo abbandonando, nel vero senso della parola, le mani sulla tastiera.
Un continuo e sbraitante discorso all’orchestra ricco di un fraseggio “copia e incolla”, privo della minima ricerca sonora. Una coppia di esasperati scoppi finali si sono rivelati decisivi nella gestione di una conclusione più teatrale che musicale che è valsa la standing ovation del pubblico ripagato, fortunatamente, con un gelido secondo movimento dalla seconda sonata per pianoforte di Prokofiev.
Il sostegno della Filarmonica della Fenice, la rinnovata orchestra del teatro veneziano, si è rivelato dignitoso nonostante la ridondanza gestuale del ventiquattrenne direttore d’orchestra durante l’esuberante conduzione. Non sempre chiari e spesso troppo in anticipo rispetto alla reazione orchestrale, gli epici movimenti di Aziz Shokhakimov rischiavano di superare il limite dell’esagerazione motoria in un’immotivata aspirazione trascendentale, invischiata nell’atto del suo raggiungimento.
Il clima di sospensione necessario all’esecuzione del Preludio dal Tristano e Isotta di Richard Wagner è stato reso più che sul piano del suono, dalla spropositata lunghezza della nota che conduce l’orecchio dell’ascoltatore al famoso accordo, nonostante successivamente si siano verificati alcuni cenni di ripresa del controllo interpretativo.
Conserva sempre un’enorme fascino il turbinio timbrico realizzato da Ravel dei Quadri di un’esposizione di Musorgskij al quale ha fatto seguito, purtroppo, una scoppiettante marcia di Radetzky di Johann Strauss padre.
Un programma concertistico ben confezionato sino all’ultimo dettaglio e convenevolmente servito come vitale specchietto per le allodole.