“Your whole life is leading up to this” Tutta la tua vita dipende da questo…
Ideato, co-prodotto ed in alcuni casi perfino scritto e diretto da Alan Boll (già sceneggiatore premio Oscar del controverso American beauty), Six feet under racconta le avventure-disavventure di una famiglia di becchini (o per adeguarsi al social-politicamente corretto, di impresari di pompe funebri).
La serie si apre con il decesso, in un incidente stradale, del patriarca Nathaniel (Richard Jenkins), che resterà presenza visionaria per i componenti della sua famiglia in tutti gli episodi.
Caposaldo dei Fisher resta quindi Ruth (Francey Conroy, di recente ammirata in Broken Flowers di Jim Jarmusch), donna ancora giovane che, liberatasi dalla soffocante figura del marito, rivelerà un’indole più aggressiva e meno compassata, confessando una relazione extraconiugale e non negandosi ad una serie di nuove relazioni che la porteranno alle soglie del matrimonio.
Il primogenito è il trentacinquenne Nate (Peter Krause), giovane uomo alla costante ricerca di qualcosa e di qualcuno, probabilmente di se stesso.
Il figlio di “mezzo” è David (Michael Chall), trentenne omosessuale inizialmente non dichiarato, mentre la più piccola è Claire (Lauren Ambrose), ragazzina pel di carota e tutto pepe, che dietro atteggiamenti piuttosto scontrosi e ribelli, nasconde un animo sensibile d’artista.
Intorno a loro si muovono altri protagonisti, ovviamente bizzarri.
Tra i principali troviamo Federico, vero artista nella composizione della salma, prima dipendente e poi socio della Fisher’s and Sons,
Keith, compagno di colore di David e Brenda, la donna di Nate.
Molti altri personaggi si sono susseguiti durante la serie, componendo un cast ricco e complesso, che ha svelato poco a poco le proprie stravaganze.
In Italia è stata trasmessa la terza serie, mentre in America, la saga si è già conclusa con la quarta, che a detta dello stesso ideatore, aveva raggiunto un punto, troppo macabro, di non ritorno.
Al Telefilm Festival si sono visti i due episodi epilogo, con la famiglia Fisher, distrutta e disorientata dalla morte di Nate che non riesce ad essere metabolizzata.
La presenza fantasma che era del padre defunto viene ora sostituita da quella dello stesso Nate che resta in qualche modo parte dei protagonisti con le sue frequenti apparizioni.
Che uno degli obiettivi principali della serie fosse la sdrammatizzazione della morte è palesato dallo stesso titolo (sei metri sotto terra è la profondità alla quale deve essere sepolta la bara).
Obiettivo possiamo dire raggiunto pienamente, anche attraverso la crudezza, ma sempre evitando il disgusto, con un approccio alla narrazione piuttosto poetico ed intimista.
Sofisticata e bellissima la sigla iniziale che si contraddistingue per il contrastante ed onirico bianco sovraesposto.
Emblematiche le struggenti immagini finali della saga, dove Claire compie un viaggio metaforico ed iniziatico, alternato a flashforward dove vede la morte di tutti i membri della sua famiglia, lei compresa:
unico happy end possibile, perfino per chi ritiene la morte un argomento tabù, del telefilm più atipico, irriverente e geniale visto sul teleschermo negli ultimi anni.
(Nip e Tuck permettendo).
Rifacendosi ad alcuni elementi della soap opera, Six Feet Under ha saputo mantenere una brillante autonomia, in un contensto piuttosto atipico e surreale, avvalendosi di una regia sobria ed una fotografia attenta ai personaggi e al loro contesto.