Venezia 72. Concorso
Se l’intento del regista Marco Bellocchio, che torna sui suoi passi e dichiarazioni (Venezia, 2012: “Ho partecipato alla competizione e sono stato sconfitto. Ho comunque preso una decisione: non parteciperò mai più a un festival. Questo è stato l’ultimo della mia carriera”) e ci riprova in concorso alla Mostra del Cinema, era quello di realizzare una commedia nonsense, ha centrato il suo obiettivo.
Siamo sempre rimasti ammaliati, intrigati, arricchiti, riflessivi, pensierosi, titubanti, comunque mai indifferenti dopo la visione di alcuni suoi film, non di questo.
_ Sangue del mio sangue perde per strada la passione di Bellocchio; la visionarietà poetica senza regole che ha scandito il ritmo delle sue storie libere sembra aver qui esaurito la sua lungimiranza, anche se speriamo e siamo fiduciosi che nel prossimo lavoro ritroveremo “il regista di matrimoni”.
Tuttavia se l’obiettivo del regista era quello, come si diceva, di mettere in scena una commedia, Bellocchio, allora, ci ha lasciati senza parole con questo suo caos convulso a metà strada tra il comico e il paradistico, tra un coro degli alpini e un discorso da bar sport, ma espresso dentro uno studio dentistico, sulla crisi della società.
Dopo I pugni in tasca del 1965, Bellocchio torna a girare nella città Natale, Bobbio, ispirato dalle prigioni della città, costruite in epoca ottocentesca, adattando parte di un Convento.
Sangue del mio sangue racconta due storie, separate da secoli.
_ La prima ha inizio nel Convento di Santa Chiara, dove suor Benedetta, giovane e affascinante, sta subendo un processo per stregoneria; il clero vuole che lei si dichiari colpevole per aver sedotto don Fabrizio, spinto quindi al suicidio a causa di un patto tra la suora e il diavolo. Ad accorrere al convento, è Federico; uomo di cappa e spada, fratello del prete sedotto, il giovane vuole che la memoria del fratello venga riabilitata, ma sotto sotto resta intrigato anche lui da Benedetta. La suora resiste alle prove cui viene sottoposta fino ad essere murata viva, mentre Federico diventerà cardinale. No, non è una soap; ma potrebbe, anche perchè le due devote proprietarie di casa, che ospitavano il prete defunto, non sono indifferenti al nuovo arrivato.
Fine prima storia.
_ Inizio seconda storia. La nostra preferita.
_ Ai nostri giorni, al convento, poi diventato prigione, bussano un sedicente funzionario del fisco e un russo, quest’ultimo vuole comprare tutto il complesso per farne un centro musicale di recupero per tossicodipendenti o un hotel di lusso. Durante la trattativa, i due si imbattono nel folklore locale, popolato da matti e da un comitato ristretto, facente capo a una fondazione con lo scopo di preservare la cittadina da invasioni globalizzanti e dalla Guardia di Finanza. Qui, tra un effetto rallenty e discorsi appiccicati sulla gente smarrita, sull’ossessione per la giustizia, sui falsi invalidi, la scena torna nel 1600.
A fare da ponte pericolante di collegamento tra queste due storie sconclusionate ci sono il Convento, un gatto e un vampiro.
_ Bellocchio, questa volta, chiede troppo al suo spettatore, pretendendo che tramuti metafore, macchinazioni, allusioni ed evocazioni intellegibili (espressione del giorno: Principio vampiresco isolazionista) in una qualche linearità linguistica comprensibile.
Apprezziamo il coraggio di osare di Bellocchio, ma Sangue del mio sangue è un film fuori tempo massimo che disorienta, non tanto per il non detto, quanto per il non scritto nella sceneggiatura, seminando aspre lacune, che isolano, senza principi vampireschi.
Titolo originale: Sangue del mio sangue
Nazione: Italia, Francia, Svizzera
Anno: 2015
Genere: Drammatico
Durata: 106′
Regia: Marco Bellocchio
Cast: Alberto Cracco, Filippo Timi, Roberto Herlitzka, Fausto Russo Alesi, Tony Bertorelli, Pier Giorgio Bellocchio, Lidia Liberman, Alberto Cracco
Produzione: Kavac Film
Distribuzione: 01 Distribution
Data di uscita: Venezia 2015 – In Concorso
09 Settembre 2015 (cinema)