Sanremo 2013 – Prima Serata

Soffia il vento del cambiamento sull'Ariston

Le dimissioni del Papa, le elezioni incombenti, la crisi finanziaria: nemmeno i Maya avrebbero partorito una congiunzione astrale tanto perversa. È in questo scenario apocalittico che si fa largo il festival di Sanremo, fra i moniti politici e i terrori dei vertici Rai che vedono la satira di Crozza o Littizzetto come possibili bombe a idrogeno che affiorano (è il caso di dirlo) fra le rose e genziane che da ormai più di sessant’anni decorano il palco sanremese. La coppia Fazio-Littizzetto, una garanzia di qualità ma anche poco affine alle leggi salomoniche della par condicio, presenta un festival nazionalpopolare nel senso gramsciano del termine—specchio di un paese che ha forse finalmente voglia di cambiare.

E così, fra una canzone e l’altra, emerge la nuova Italia, fatta di nuovi italiani con il sorriso di Angelo Ogbonna, ma anche da Stefano e Federico, che si stringono la mano e confessano il loro desiderio di matrimonio, ammutoliti dietro a dei cartelli. Fatta da un susseguirsi di ospiti femminili che rivendicano il diritto ad un cervello pensante dietro alle forme sinuose. Un’Italia nuova resasi finalmente indipendente anche dai vari Albano e Peppini di Capri, consegnati agli annali di musica antica, ma anche libera dal vago odore di trash che sembra dover forzatamente asfissiare le fioriere sanremesi. Giacchè l’Italia esiste sospesa in equilibro tra passato e futuro, il vento di cambiamento soffia al ritmo del Va’ Pensiero, con cui si apre il festival ricordando Verdi nel bicentenario della nascita.

Ma specchio del desiderio di cambiamento è innanzitutto la musica, che tra le nubi di tempesta brilla finalmente per qualità. Ha senso canticchiare in tempi di lacrime amare? Sì, ci dice questo festival, se lo si fa con stile. Nella prima serata si alternano la metà dei 14 big in gara, ognuno con due canzoni di cui una sola passa la selezione in base al giudizio del televoto e della sala stampa. Per Marco Mengoni scelgono L’essenziale, una classica ballata eseguita con meno sbavature della pur più interessante eliminata, Bellissimo, scritta per l’ex X Factor da Gianna Nannini e Pacifico. Torna Raphael Gualazzi, vincitore tra i giovani nel 2011: il voto premia la migliore Sai (ci basta un sogno) che mette in luce le doti pianistiche del cantante che unisce jazz e tradizione cantautoriale, con una certa affinità al sound di Pino Daniele.

Daniele Silvestri irrompe con la migliore canzone sentita per ora all’Ariston, A bocca chiusa, bellissimo brano che riafferma con forza la volontà di partecipare attivamente alla vita politica del paese, eseguita con un interprete di lingua italiana dei segni che, “a bocca chiusa”, unisce lingua, musica e corpo in una delicata ed emozionante coreografia. Passa il giudizio del voto, così come di Simona Molinari viene scelta La Felicità, allegro swing-rap dal sapore vintage cantato in duetto con il crooner americano Peter Cincotti. Restano invece vittime di un attacco di negramarizzazione i Marta sui tubi, la cui Vorrei non spicca particolarmente per orginalità nel repertorio della band siciliana che porta la musica indie al festival come avevano fatto qualche anno fa gli Afterhours.

Tremano le mura dell’Ariston: entra Maurizio Crozza travestito da Silvio, non fateci dire il cognome che oramai è ridondante, e già i pochi adepti che osano seguirlo fin dentro il teatro più rovente d’Italia danno fiato alle trombe del dissenso. Grida non degne di un paese civile, che chiedono al comico di andare a casa, lo insultano e lo chiamano ridicolo per poi essere placate con fermezza da Fazio. E Crozza, da ligure, a casa giustamente non ci torna ma ci resta, e continua sul palco sanremese. Un po’ lungamente, a dire il vero, tra una parodia di Bersani che canta Paolo Conte e una di Montezemolo passando per Ingroia, talvolta annoiando a facendoci rimpiangere che, se non ci fosse stata la par condicio, ci saremo goduti grassamente una buona mezz’ora di Silvio mattatore canterino.

Spazzati i fischi, tornano le note. Maria Nazionale si presenta in rosa shocking con due canzoni nella pura tradizione napoletana, tra cui la spunta È colpa mia scritta per lei dagli Avion Travel. Nulla da eccepire, soprattutto nell’esecuzione magistrale, se non fosse che My Way fa capolino ad ogni ritornello. Mentre tra i fiori sembra sbucare Frank Sinatra, a farsi largo fra i petali è invece il Coro dell’Armata Rossa in un tipico scenario da guerra fredda. Orfani di Lenin, a capitanarli non è propriamente un’icona dei fasti della rivoluzione d’ottobre, ma quasi coeva: Toto Cutugno. Riceve il Premio Città di Sanremo, canta L’italiano (pena revoca del passaporto), Volare (pena radiazione dall’albo dei musicisti) e poi accenna fiocamente una canzone tradizionale russa e rimembrare i bei tempi della cara vecchia Unione Sovietica (sic!). Toh, aveva ragione Silvio, lo spettro del comunismo si aggira minaccioso sulla costa ligure, e anzi si impossessa dei corpi più insospettabili.

Chiude Chiara, figlia dell’atelier X Factor, ottima interprete che purtroppo subisce l’eliminazione della canzone migliore tra le due presentate, L’esperienza di un amore con testo di Federico Zampaglione. L’inquisizione televotante preferisce la più banale Il futuro che sarà. Data la precisazione certosina del titolo, viene da chiedersi se esiste anche il futuro che fu, che è o sarà stato. Per tutta la serata, Fazio e Littizzetto non cedono un colpo, e abitano il palco con la disinvoltura di chi tra quei fiori sembra esserci venuto al mondo e nulla teme. Si chiude così, meno esplosivamente kitsch delle passate edizioni ma più che mai riuscita, la prima serata del festival. Domani si esibiranno i restanti sette big in gara.