A filtrare la presenza del mare è l’oscura corposità del Palazzo. Posizionato in pianta stabile al centro della scena, la monumentale presenza a volte lo lascia intravedere, aggiungendo profondità prospettica, a volte invece sembra ostacolarlo, senza mai negarlo, per inquadrare la narrazione agli interni dell’edificio. Così Andrea De Rosa ha pensato il suo allestimento del Simon Boccanegra che inaugura, insieme alla Traviata di Robert Carsen ormai giunta a un importante traguardo di rappresentazioni, la nuova stagione del Teatro la Fenice che raggiunge il decennale dalla prima stagione lirica negli spazi del teatro ricostruito.
Per il regista è il mare l’elemento simbolo di questo allestimento. La sua persistenza scenica per mezzo di proiezioni video, asseconda sin da subito il pensiero di Amelia nel rivivere, durante il primo atto, alcuni confusi ricordi di gioventù in attesa dell’amato Gabriele. Così il continuo ondeggiare del mare si contrappone alla “pompa austera” del Palazzo che lo incornicia. Lecito quanto superfluo domandarsi in che modo la componente scenica riesca a incidere su quella musicale poiché la forza dell’allestimento risiede proprio nella capacità di lasciare espandere la musica in tutta la sua potenza persuasiva. Non c’è confronto che tenga tra l’effimero incanto procurato dalla visione del mare e la sua palpitante evocazione liberata sin dalle prime note del prologo. Non infastidisce, al punto da passare quasi inosservato, l’ardito escamotage che vede il ritorno di Maria sul finale: sarà il fantasma dell’amata ad accogliere il corpo di Simone agonizzante, non prima di aver permesso a quest’ultimo di districare l’intensa matassa che caratterizza l’intreccio, giustificando la presenza di Jacopo Fiesco, ormai pentito di aver ostacolato a tal punto la vita del Doge, agli occhi di Amelia, sua nipote.
Non c’è ostacolo che tenga dunque all’espressione vocale di un cast in cui nessuno dei componenti sente la necessità di sgomitare tra gli altri assicurando così un esemplare equilibrio. Sbalordisce la compattezza sonora dovuta alla stupefacente freschezza esecutiva e di spirito con la quale l’orchestra affronta la partitura affidandosi totalmente alle mani di Myung-Whun Chung, acclamato a star sin da subito. Il direttore offre un saggio esecutivo sopra ogni altra aspettativa siglando con orchestra e pubblico un rinnovato rapporto di fiducia. Ottimo inizio per il teatro veneziano che ritrova tutto l’appoggio di cui necessita.