Elio Germano interpreta Thom Pain, personaggio inquieto creato dalla penna di Will Eno. Thom, in un monologo confuso e delirante, racconta gioie e dolori della sua vita in una narrazione apparentemente priva di filo logico.
Buio. Elio Germano (ma è davvero lui?) sale sul palco e comincia a leggere alcune parole da un dizionario. Le definizioni non tornano e spiazzano. Anche lui sembra non capire, e dopo poco smette. Comincia a camminare, si sente che si avvicina ma ancora non lo si vede. Poi, all’improvviso, la luce. Vestito di scuro, un completo, con sotto una camicia bianca; degli occhiali dalla montatura un po’ retro, con una stanghetta rotta e fermata con lo scotch.
È Elio Germano solo per i pochi secondi che ci si mette a riconoscerlo, poi è Thom, e resterà Thom per tutti i 50 minuti di spettacolo: Thom confuso, Thom cinico, Thom infantile, Thom feroce, Thom poetico. C’è un bambino, racconta, che gioca in una pozzanghera (l’avevo detto che il bambino era vestito da Tex Willer?) e un cane, morto per una scossa elettrica. Ma non ci sono solo loro due: c’è anche una donna, la donna più bella che lui abbia mai conosciuto e che, inevitabilmente, l’ha lasciato; l’ha lasciato perché lui la amava al punto da perdersi completamente dentro di lei e lei, probabilmente, non l’ha più trovato e se n’è andata.
Ci piacciono i giochi di prestigio? A Thom sì, ma anche no, o forse sì; magari per la fine dello spettacolo (o della vita?) avrà preso una decisione. Magari, se la sua vita dovesse durare solo un giorno, saprebbe scegliere la sua risposta; ma se dovesse durare ancora quarant’anni avrebbe tempo, tempo per decidere e tempo per non fare, tempo da perdere, come faremmo noi. È goffo, Thom, e sembra titubante mentre si avvicina a parlarci; acquista sicurezza quando vede una bella ragazza e la invita a uscire, ma lei non fa tempo a rispondere che già la loro storia è finita, è passata e forse non è mai stata.
È nevrotico, Thom, con i suoi tic, si tocca i capelli, muove velocemente il braccio, ma così come ha iniziato, improvvisamente smette. E ci si chiede se per caso non stesse fingendo, Thom, per dare un’altra immagine di sé; perché Thom è anche crudele, a modo suo, che poi è il modo nostro, ed è cinico, all’occorrenza.
Insomma, torniamo al bambino col cane morto, che non è altro che lui, la sua infanzia, e il dolore che ha provato ne ha segnato la fine. E noi? Quando è finita la nostra infanzia? Fa domande Thom, ma non segue le risposte, troppo perso nel suo racconto, nei suoi racconti, che s’incastrano l’uno nell’altro senza un attimo di respiro tranne…tranne che un po’ di respiro c’è, alcuni momenti che allentano la tensione: la lotteria, ad esempio, o una barzelletta. Ma Thom non è un comico, e la barzelletta non la finisce perché non la ricorda più; quanto alla lotteria, non ci avremo mica creduto, vero?
Scende dal palco e cammina fra il pubblico, sceglie uno spettatore a caso e lo porta con sé. Davanti a tutti lo fa sedere, e si dimentica di lui in un secondo mentre torna a raccontare la storia della sua vita in due minuti, in un flusso di coscienza sconnesso, dandoci le spalle perché ormai noi non ci siamo più c’è solo lui, immerso nel dolore. E così com’è iniziato, finisce. Proprio come la vita. Luci in scena. Applausi.
Thom Pain (basato sul niente)
Di Will Eno – Traduzione di Noemi Abe
Con Elio Germano
Teatro di Cà Foscari a Santa Marta
Durata 50 minuti
www.unive.it/teatrodicafoscari