Venezia 67. Fuori Concorso
Ruth ha vent’anni, di madre inglese e padre indiano. Proprio un’accorata lettera di quest’ultimo la spinge ad andare in India e fare di tutto per rimanervi e ritrovare il genitore perduto, scappato dall’Inghilterra in seguito al suicidio della figliastra quindicenne, avvenuto quando Ruth aveva solo 5 anni.
A Mumbay la giovane, oltre a lottare a colpi di mazzette con la corrotta burocrazia e a colpi di dizionario con l’ostico hindi, lavora irregolarmente in un salone di massaggi, dove per mille rupie extra si offre di dispensare alla clientela un “lieto fine” (chiamato anche “stretta di mano”), e intrattiene una malsana e infruttuosa relazione con un ragazzo indiano drogato, irresponsabile e coinvolto in giri decisamente poco limpidi. Uno di questi malaffari coinvolgerà anche Ruth, in una delle molte disavventure (a cui si uniscono un funzionario corrotto fino al midollo che spreme alla ragazza parte dei suoi “sudati” risparmi e la frustrante ricerca per tutta il circondario di Mumbay del padre scomparso). Il percorso di Ruth avrà una svolta impensabile e un finale reale, vivido e per niente consolatorio.
Torna alla Mostra del Cinema il talentuoso Anurag Kashyap, già presente nel 2009 nella doppia veste di giurato del Concorso ufficiale e ospite Fuori concorso con due lungometraggi (il poco riuscito Gulaal e il bel Dev.D.), e lo fa di nuovo in una sezione non competitiva ma con una pellicola che non avrebbe sfigurato in Concorso. Scritto a quattro mani con la protagonista del film, la giovane e talentuosa Kalki Koechlin (di origini francesi, ha debuttato sul grande schermo proprio con Dev.D.), That Girl in Yellow Boots, titolo che sta a indicare le Dr Martens giallo canarino che fanno spiccare Ruth fra la magmatica folla indigena della metropoli indiana almeno tanto quanto le sue origini europee, è il delicato, tenero e sincero sguardo su di una ragazza che vive, lotta e combatte per ottenere ciò che vuole.
Nei 103 minuti d’azione la macchina da presa di Kashyap sostanzialmente non abbandona mai Ruth, seguendola nelle sue routinarie (si fa per dire) faccende al salone di massaggi, nei suoi viaggi in giro per la provincia indiana alla ricerca del padre e nel suo problematico rapporto sentimentale. Ruth è una ragazza solida che nonostante la giovane età ha imparato il valore della costanza: una volta capito che per ottenere un soddisfacente equilibrio interiore l’unica strada possibile era quella di ritrovare il padre (Ruth afferma che guardare la lettera inviatale dal genitore perduto è l’unica cosa che le faccia battere il cuore) la giovane si mette di buona lena, rinnova il visto indiano, propone più “strette di mano” del solito per avere più denaro da spendere per oliare incancreniti meccanismi burocratici. Kashyap segue queste normali peripezie dimostrando un’importante cura dell’immagine, una ricercatezza del quadro e una grande attenzione verso i minimi dettagli riuscendo a mantenere un certo rigore e mai scadendo in ammiccamenti pop o immagini patinate da cartolina di Mumbay, tentazione sempre molto forte per la facilità con cui questi elementi affascinano il colpevole spettatore occidentale.
Dal punto di vista narrativo Kashyap a la Koechlin lavorano per sottrazione praticamente per tutto il film (tranne qualche sporadica concessione di genere come l’introduzione del gangster piagnone e dall’inglese stentato) per rilasciare tutte le energie in un finale sorprendente, doloroso e per niente catartico o consolatorio.
Titolo originale: That Girl in Yellow Boots
Nazione: India
Anno: 2010
Genere: Thriller
Durata: 103′
Regia: Anurag KashyapCast: Kalki Koechlin, Naseeruddin Shah, Prashant Prakash
Produzione: Anurag Kashyap FilmsData di uscita: Venezia 2010