Arriva un momento che rappresenta, in una serie come in una vita, la resa dei conti, il momento che fa prendere atto di vittorie, sconfitte, cambiamenti: il bello di una serie come questa di Wells e Sorkin è che questa resa dei conti arriva nemmeno a metà di una stagione, che è la penultima, permettendo così allo spettatore di seguire anche il dopo, la transizione.
Così, si decide di affidare il crescendo emotivo a un evento tragico e dolente (un po’ in stile Squadra Emergenza, altra serie sotto l’ala di John Wells) ma soprattutto, oltre a seguirne le immediate conseguenze, comincia a lavorare sul dopo, a “sfruttare” il problema per delinearne le soluzioni, seguendo in questo il vero corso della politica, quella vera, mai ferma al presente.
Così, mentre il presidente Bartlett si trova ad affrontare le conseguenze della sclerosi multipla, che mettono a repentaglio il suo summit in Cina, Josh si trova al centro di numerose richieste di possibili candidati alla presidenza democratica. E’ giunto il momento di capire quale sarà il futuro della Casa Bianca.
Due episodi di grande forza e valore emotivo, ma soprattutto narrativo, scritti da Lawrence O’Donnell e Debora Cahn e diretti da Alex Graves e Lesli Linka Glatter, in cui la vena più schiettamente narrativa, in un certo senso di genere, non si sposa più con la stretta attualità politica, ma ne fa un ritratto di maggior respiro, proprio utilizzando i personaggi e le situazioni interne alla stagione. Infatti, più che la descrizione della società, della politica e dei politici o del modo con cui l’America affronta i propri problemi (i “casi della settimana” sono quisquilie, come maghi che bruciano bandiere o asteroidi che lambiscono la Terra), conta il ritratto globale, il puzzle di personaggi e situazioni che, in un progetto perfettamente assemblato, s’incastrano tra di loro diventando non solo meccanismo, ma anche cuore pulsante.
Come detto negli episodi scorsi sull’attenzione ai personaggi secondari, diventa in questo caso il mezzo prediletto da Wells e soci per suscitare emozione e al contempo, parlare della realtà e del mondo al centro della serie: così i difficile e penosi tentativi di un uomo di confrontarsi col proprio declino, sono spunto per descrivere le reazioni della politica ai drammi quotidiani e per tirare una lunghissima volata al gran finale, con l’inizio del confronto tra Matt Santos e Vinick.
Certo, è ancora presto per concentrarsi su questo, anche perché i nodi sono ancora molti, e non solo il decorso della malattia di Bartlet, ma anche, per esempio, il licenziamento di Donna: la sceneggiatura gira a perfezione tra snodi e avvincenti e dialoghi perfetti, come nei momenti più fulgidi di DSorkin, e la regia sa amalgamare immagine, ritmo e senso con un’abilità rara, anche nella migliore delle tv possibili. E dopo qualche momento in disparte, Martin Sheen si riprende il suo scettro di miglior attore del cast, basti guardare la scena in bagno con Abby, la first lady. E noi, con lui, abbiamo spesso il cuore in gola.