Cosa può colpirci ormai di un resoconto etnografico?
La nostra letteratura è colma e satura di racconti di viaggi e di avventure, di riflessioni sul multiculturalismo e sulle conseguenze dell’incontro con l’Altro che proviene da Lontano.
In un mondo che non ha più paura di allontanarsi dal proprio domicilio, perchè ci sorprendiamo ancora leggendo le pagine di Tristi Tropici di Claude Lévi-Strauss?
Dopo essermi posta questa domanda, ho riflettuto molto sul perchè avrei dovuto consigliarvi un libro del genere, a metà fra una teorizzazione filosofica e un diario personale, in cui sono riportati, con circa trent’anni di ritardo, i dati e le riflessioni dell’autore nel suo periodo di esordio nel mondo dell’Antropologia, forse la più inflazionata delle scienze sociali.
Le uniche due risposte che valgano la pena di essere riportate, a mio parere, sono queste: perchè il libro illumina uno squarcio di verità – e lo fa esattamente nelle ultime tre pagine -, e perchè i ricordi in esso contenuti “volevano” scriversi.
Riguardo al primo punto, potreste legittimamente affermare che non valga la pena né acquistarlo, né leggerlo integralmente (ed io di certo non vi anticiperei di quale verità si tratta); che sarebbe bastato scrivere un saggio breve, di quelli sulla scia di “Babbo Natale giustiziato” (dello stesso autore); che lo stesso Lévi-Strauss avrebbe potuto benissimo evitare di raccogliere i suoi pensieri in un libro ben trent’anni dopo averli effettivamente pensati, perchè ormai, con questo ritardo di trasposizione, esso sarebbe risultato polveroso ed annebbiato come ricordi di vecchia data.
In realtà, senza ombra di dubbio, in Tristi Tropici risuona il vivo fulgore della realtà, organizzata con gli occhi dell’esperienza e del vissuto; come se, invece di un vagheggiamento approssimativo e poetico (quasi leopardiano), i ricordi abbiano aspettato sopiti e si siano improvvisamente risvegliati al contatto col mondo della scrittura. La spontaneità con cui gli episodi si incrociano, appaiono e scompaiono tra i vari capitoli contrastano con la consapevolezza del tempo trascorso e trasmettono con esatta lucidità le dinamiche degli eventi, con la precisione metodica di un attento osservatore.
Essi, i ricordi, scorrono ordinati e precisi; ma a quali eventi biografici dell’autore sono legati?
Si riferiscono agli anni ’30, periodo in cui al futuro fondatore dello strutturalismo in ambito antropologico venne proposto di insegnare Sociologia presso l’Università brasiliana di São Paulo, con la possibilità di condurre ricerche nelle zone interne, presso le popolazioni indigene locali; aldilà del racconto di aneddoti e della selezione di brani scritti durante la permanenza presso i cosiddetti “selvaggi”, il libro è corredato anche da incantevoli fotografie in bianco e nero riguardanti le popolazioni studiate e da disegni eseguiti sia dall’autore stesso che dai suoi informatori, di notevole rilevanza per gli appassionati del settore (e non).
Il racconto di questo contatto con l’alterità viene preceduto da alcuni capitoli riguardanti il viaggio verso il Nuovo Mondo e seguito da un breve capitolo finale di una bellezza vivissima, verso cui tutto il libro e l’esistenza stessa dell’autore sembrano tendere; si tratta del frutto di una vita spesa a porsi un’unica istanza di senso: Chi è l’Uomo?
Senza anticiparvi nient’altro, lascio a voi la scoperta di questo squarcio luminoso.
Claude Lévi-Strauss, Tristi tropici, Il Saggiatore, 2011, 379 p., 13,00 euro.