Dopo “L’ultimo nastro di Krapp” di Samuel Beckett Giancarlo Cauteruccio si misura con un’opera che ha segnato l’origine del teatro moderno: “Ubu Roi” di Alfred Jarry, proponendo una messa in scena coerente con il suo ventennale percorso di ricerca.
Alfred Jarry, scrittore precocissimo, tra il 1885 e il 1888 ha composto varie commedie in versi e in prosa. Nell’ottobre del 1888 stringe amicizia con Henry e Charles Morin da cui riceve la prima stesura di una feroce satira goliardesca, I Polacchi, ispirata al ridicolo professore di fisica Hebert, divenuto, in quella scuola, oggetto di scherno da parte degli studenti. Jarry adatta in commedia il testo che mette in scena in un teatro di marionette. Nasce così Ubu Roi, l’opera alla quale Jarry lavorerà nel corso degli anni successivi.
Quando il regista Giancarlo Cauteruccio ha deciso di mettere in scena questo testo nella sua integrità, a parte qualche taglio funzionale, si è trovato subito di fronte a un problema insormontabile. La difficoltà di rappresentare, in tutti i suoi risvolti, un’opera che ha segnato incontestabilmente la nascita del teatro moderno.
Per superare alcuni nodi scenici e registici, Cauteruccio ha fatto un vero e proprio tuffo nel proprio passato personale e ha ripensato alla sua classe di liceo. I personaggi di Ubu sono, dunque, diventati degli studenti di una classe pronti a inventare una partita di teatro, incastrati nei banchi della classe come se fossero protesi meccaniche che aiutano i corpi degli attori a divenire marionette dall’identità non ben definita.
Lo spettacolo ha come filo conduttore una riflessione sulla scienza “patafisica” ovvero la scienza delle soluzioni immaginarie volte ad affermare l’identità dei contrari e l’inconsistenza dello spazio e del tempo e quindi l’inconsistenza di qualsiasi gerarchia (il sopra, il sotto, il prima, il dopo, il più, il meno). L’opera cambia, proprio per questo motivo, forma e contenuto continuamente. E’ un vero serbatoio di materiali nei quali l’osservatore ha la possibilità di attingere ciò che vuole per mettere alla prova la sua disponibilità alla trasformazione.
Cruciale, a questo proposito, l’intervento pre-filmato di Jean Baudrillard che irrompe sulla scena in maniera prepotente e suggestiva con l’unico scopo di portare ulteriore confusione nelle già caotiche azioni degli eroi ubueschi e degli stessi spettatori. Il principio è quello di esagerare, di arrivare al parossismo. Solo così la realtà viene demolita. Solo così possiamo entrare in uno spazio vuoto che non è pensiero di alcuno.
Al Teatro India di Roma dal 26 al 30 aprile; Traduzione e adattamento Giuliano Compagno; progetto e regia Giacomo Cauteruccio; con Fulvio Cauteruccio, Alida Giardina, Franco Piacentini, Roberto Visconti, Francesca Cipriani, Daniele Bartolini, Daniele Melissi; Testimonianza in video Jean Baudrillard