E’ il vento delle grandi occasioni quello che spira leggero sullo Stadio Friuli e fa sventolare due bandiere – una italiana e una americana – poste simbolicamente all’apice delle estremità del palco. Una brezza timida che non basta a placare il caldo afoso di luglio, ma si fa messaggera dell’uragano che presto investirà i 35.000 Rock Lovers arrivati a Udine da tutta Europa per lui. E lui, chitarra in resta e musica nel sangue, è lì per accontentarli tutti, dal primo all’ultimo, in una trance collettiva-confidenziale che è il marchio di fabbrica dei suoi concerti.
20.55. Lui, jeans stretti e immancabile gilet, sta per arrivare. I suoi fan sentono l’elettricità nell’aria, fremono, lo invocano. Passa qualche infinito istante. Il calore della passione riempie lo stadio e sembra spingersi fino ai piedi delle splendide montagne della Carnia. L’attesa cresce. Chi è sottopalco dalle quattro del pomeriggio è diviso tra la carica adrenalinica dell’attesa e la realizzazione appagante della visione. Ci siamo, è qui. L’arrivo di un corteo di tre suv nel backstage non lascia dubbi. Il Boss è pronto, e farà tremare il terreno, trepidare i cuori e scatenare le emozioni anche a Udine.
Una breve tarantella con fisarmoniche rompe gli indugi. Il palco è ancora semibuio. Non per molto. Tre “Mandi Udin”, un saluto in friulano, e Bruce irrompe sulla scena; e si scatena subito l’urlo delle folle esultanti. La forma è quella di sempre – invidiabile anche per un ragazzino di vent’anni – e la prima corsa attorno allo stage è già per raccogliere un cartello, caricare il primo gettone nel juke box live di questa come di altre mille serate. Il concerto lo fa il pubblico, lo compongono i fan, e Springsteen e la magica E Street Band sono lì per loro. Unico.
Sherry Darling, dall’album The River, è il prorompente biglietto da visita di questo evento udinese, ma le ancor più celebri Badlands e Hungry Heart cancellano ogni residuo impaccio anche del più timido degli spettatori e già le mani si muovono insieme per acclamare il Boss. Non c’è niente da fare, Springsteen va vissuto e ascoltato sul green, in piedi, uno di fianco all’altra, pronti a ricevere uno schiaffo di energia dritto in volto dalla voce e dalla chitarra del rocker del New Jersey.
Dai fan in prima linea nel pit arriva di tutto: un pupazzetto con il volto di Bruce, una manona in gommapiuma e un chitarra gonfiabile con scritto “Play me”. E il Boss raccoglie, seleziona, stringe mani, si fa toccare, distribuisce sguardi d’intesa e gesti di complicità. Lui è lì per loro, lui è lì per te. Cappello da cowboy e postura western introducono la splendida Outlaw Pete (dal nuovo album), finchè la forza di Darlington County, che scuoterebbe anche un bradipo in letargo, non fa nuovamente sudare e ballare tutti.
I successi di una vita si susseguono senza tregua, il Boss cambia chitarra al volo tra una canzone e l’altra, salta, corre per il palco continuamente, chiama in causa il pubblico e lo fa rockeggiare tutto d’un fiato. “La musica è spirito e rumore. Noi siamo qui per portare la musica. Abbiamo bisogno che voi facciate rumore”, scandisce in italiano Springsteen, prima di partire con la storica Murder Incorporated. E per poco la reazione non fa crollare lo stadio.
Da qui una cavalcata trionfale con Johnny 99, No Surrender, Summertime Blues di Eddie Cochran, l’assolo di chitarra di Nils Lofgren in Street of Fire, quello di batteria di Max Weinberg in My Love Will not Let You Down, la voce di un bambino nel pubblico che Springsteen fa cantare sulle note di Promised Land, l’armonica del Boss in American Skin (41 Shot), fino alle meravigliose The Rising e Born to Run. Tutto questo, come se non bastasse già di per sè a comporre almeno due concerti separati, come preludio al gran finale che fa agitare, sgolare e scalpitare tutti, nessuno escluso, anche sulle tribune.
Born In The U.S.A., American Land, Bobby Jean: un trittico inarrivabile; mentre alle prime intonazioni di Dancing in the Dark, un’incredula ragazza del pubblico viene fatta salire sul palco e si permette un ballo a due con il gladiatore del rock che poi, dolcemente, la prende tra le braccia e la riporta sul pit. Ma ormai è giunto il momento, dopo quasi tre ore filate, intense e potenti, dell’ultimo pezzo, il convolgente madley Twist and Shout/La Bamba, gustoso dessert per una serata di rock vero e appassionante.
Insieme alla E Street Band (coi mitici e fidatissimi Little Steven alla chitarra e Clarence Clemons al sax), il Boss si congeda inginocchiandosi davanti al suo pubblico. L’emblema dello spirito di un rocker puro, umile e senza tempo.
Foto a cura di Emanuela Crosetti Copyright © NonSoloCinema.com – Emanuela Crosetti