“Venere in pelliccia” di Roman Polanski

Masochismo contemporaneo

Roman Polanski mette al servizio del suo cinema teatrale la perversione del masochismo e la sfrutta come pretesto per realizzare un gioco di parodie dove l’annata guerra tra i sessi è soltanto l’inizio.

Thomas, regista teatrale parigino, è deluso dalle audizioni per il personaggio femminile della sua piece. Ma mentre sta per uscire si presenta Vanda: energica e volgare, sfrontata e pronta a tutto pur di ottenere la parte. Vanda incarna tutto ciò che Thomas disprezza, ma concedendogli tempo il regista si accorge della sua padronanza del personaggio, fino a veder trasformata una piacevole sorpresa in una intensa attrazione che ben presto scade in pura ossessione.

La passione di Roman Polanski per il teatro è radicata nella produzione stessa del regista. C’è chi dice che i guai giudiziari che l’hanno portato agli arresti domiciliari negli ultimi anni abbiano risvegliato in lui questo aspetto portando le sue sceneggiature e i suoi personaggi in luoghi chiusi come palcoscenici teatrali. Che questo corrisponda o no alla verità, sta di fatto che dopo il celebrato Carnage, Polanski ritorna con un’opera cinematografica dal carattere prettamente teatrale: due soli personaggi in uno spazio chiuso e in un tempo esclusivamente presente.

A chi pensi che un grande film debba avere una produzione che investa sulla quantità oltre che sulla qualità, già l’esperienza di Carnage avrebbe dovuto convincerlo che un numero elevato di attori o di scenografie differenti non sono una ragione sufficiente perchè so realizzi un’ottima opera. Venere in pelliccia ce lo conferma e soprattutto ci conferma un qualcosa che nel precedente Carnage sfuggiva nell’emozione di quotidiano intrattenimento che l’opera intendeva trasmettere allo spettatore: Polanski ha qualcosa da dire, porta con sé un messaggio oltre l’intrattenimento che la riflessione può essere in grado di far emergere.

Scegliere un titolo come Venere in pelliccia non è un caso. Il romanzo ottocentesco di Sacher-Masoch ha un valore essenziale per il gioco parodistico che Polanski vuole mettere in scena: partendo da quello che viene considerato il padre della pratica sessuale del masochismo, il regista vuole scatenare una serie di cortocircuiti nei ruoli della società contemporanea.

Prendendo in prestito dal celebre romanzo soltanto l’incipit del ribaltamento dei ruoli sessuali categorizzato nella psicanalisi come masochismo, Polanski mette in scena la parodistica versione della guerra tra uomo e donna, dove il primo cede nell’intimità il proprio ruolo sociale di dominante in favore della donna che lo domina. L’effetto parodistico si nasconde nella mascolinizzazione sociale della figura femminile, inevitabilmente a discapito di quella maschile che mantiene la sua virilità soltanto nell’apparenza quotidiana, abbandonadosi nella privatezza al piacere di sentirsi dominato.

Niente di nuovo allora, se si pensa che la psicanalisi ha teorizzato da lustri questa particolare situazione. Ma il gioco di Polanski non si ferma qui, anzi è da qui che inizia e, come in una scatola cinese, si trascina dietro una serie inarrestabile di distruzioni.
Il cortocircuito dei ruoli maschile e femminile ne nasconde un altro forse ancora più profondo, quello tra vittima e carnefice: già in un film come La morte e la fanciulla Polanski aveva messo in scena questo gioco psicologico al massacro nel quale, a prescindere da qualsiasi vendetta, il carnefice diventa irrimediabilmente vittima e la vittima carnefice.
All’interno di questo cortocircuito, nella scatola cinese aperta, Polanski ne apre un altro, più particolare e forse più autoreferenziale, quello tra il ruolo di attore e di regista. La protagonista femminile di Venere in pelliccia distrugge completamente il carattere del regista demiurgo che controlla e domina in tutto e per tutto qualsiasi situazione sul palcoscenico e anche al di fuori di esso.

È impossibile però non andare oltre e aprire l’ennesima scatola svelando un altro sostrato di feroce parodia che Polanski dedica schiettamente a una categoria sociale, quella che a Parigi è chiamata gauche caviar e che in Italia conosciamo come radical chic: il personaggio maschile è un intellettuale da strapazzo che ha chiamato il suo cane Derrida (celebre rappresentante della filosofo francese contemporanea) e quello femminile un’attricetta superficiale che si riempie la bocca di ovvietà pseudo-culturali. Entrambi, nel disegno che tratteggia per loro Polanski, non sembrano in realtà altro che due vittime di questa categoria sociale pronta a trasformare l’intellettuale in una maschera da dover indossare nella quotidianità esattamente come s’indossa un vestito.

È forse in una semplice frase pronunciata dallo stesso Polanski alla presentazione del film a Cannes che si comprende la portata del suo gioco parodistico al massacro, un gioco che non intende criticare qualcuno in particolare, ma il modo stesso di vedere le cose, la deriva morale della nostra società contemporanea: “Viviamo in un’epoca priva di romanticismo. Oggi regalare un mazzo di fiori a una donna è considerato naif, un gesto di cattivo gusto.”

Titolo originale: La Vénus à la fourrure
Nazione: Francia
Anno: 2013
Genere: Drammatico
Durata: 96′
Regia: Roman Polanski

Cast: Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric
Produzione: RP Productions, Come film, Monolith Films
Distribuzione: 01 Distribution
Data di uscita: Cannes 2013
14 Novembre 2013 (cinema)