Concorso
Lui e lei si amano, sotto il cielo di Parigi e Mont Saint Michel. Lei è francese, lui è americano. Lei ha anche una bambina, Tatiana. Lui e lei scelgono di andare a vivere negli spazi sconfinati dell’Oklahoma, nei quali lei all’inizio sembra essere a suo agio. Ma iniziano le tensioni, la piccola Tatiana non riesce ad ambientarsi, lei sembra perdere l’equilibrio. Madre e figlia tornano in Francia, lui resta in Oklahoma, forse trova un nuovo amore in una ragazza del posto. Parallelamente, anche il prete della piccola comunità americana sembra attraversare un momento di crisi religiosa, mentre lei non è felice di essere di nuovo a Parigi. Torna da lui in Oklahoma, ma non è facile ricucire le ferite di un amore ormai appassito.
A solo un anno dal successo di The Tree of Life, palma d’oro a Cannes, Terrence Malick torna con un’opera molto vicina alla precedente, fatto quasi epocale per un regista che normalmente impiega lustri per dare alla luce un nuovo film, con l’obiettivo di esplorare la transitorietà dell’amore. Persosi in una poetica ormai autoreferenziale e avvitata su se stessa, ripropone con fastidiosa insistenza la sua estetica di controluce, le innumerevoli fronde e pianure, la dittatura della voce over, ormai divenuti ossessione autistica più che cifra stilistica. D’arborea vita vivente, la protagonista passa le sue giornate zampettando confusa e felice fra i parchi di Parigi, le spiagge normanne, i campi dell’Oklahoma e perfino le corsie del supermercato. La sua voce, come quella di lui, si interroga incessamente sul senso della vita, cercando una risposta in un panteismo non meglio definito.
La ricerca di una chiave di lettura nella natura, proposta con genialità ne La rabbia giovane e La sottile linea rossa, e riscaldata con stanchezza in The New World e The Tree of Life, torna ma è ormai vuota, semplice vezzo di un regista di talento che sembra così convinto di se stesso da non dover più spiegarsi o rendersi comprensibile, ma solo ripetersi allo sfinimento. “Cos’è la vita, e chi siamo, e da dove veniamo, e l’amore cos’è”, si chiedono personaggi troppo rapiti nei loro dilemmi esistenziali e corse campestri per risultare anche vagamente credibili. Frasi che si incontrano in una qualsiasi canzone pop elevate a verbo, solo perché sussurate di fronte a scenari fotografati (quello sì) con maestria, ma è una poesia e uno stile visivo da pubblicità di profumo francese, sfodera paroloni evanescenti come una fragranza che evapora dalla pelle per non lasciare traccia la mattina seguente. Eau de Malíck.
Gli attori diventano anch’essi parte del paesaggio che vorrebbe essere foriero di significato ma è solo sterile rappresentazione compiaciuta. La storia, i personaggi, gli spazi si dissolvono in un continuum trascendentalista che può affascinare come un’effimera suggestione che diletta finché la si vive ma si scorda con la stessa velocità con cui è apparsa. Non risponde a nulla ma nemmeno apre troppe domande che esulino da un vaporoso misticismo che lascia indifferenti. Anche i quesiti spirituali del prete, personaggio trapiantato nella pellicola senza molto senso, scivolano via come olio su un’insalata di alberi della vita, arbres de la vie, arbres magiques che si assiepano in una bella pubblicità inspiegabilmente protrattasi troppo a lungo.
Titolo originale: To the Wonder
Nazione: U.S.A.
Anno: 2012
Genere: Drammatico
Durata: 112’
Regia: Terrence Malick
Cast: Olga Kurylenko, Ben Affleck, Javier Bardem, Rachel McAdams
Produzione: Redbud Pictures
Distribuzione: FilmNation Entertainment, Rai Cinema
Data di uscita: Venezia 2012