Venezia 72. Concorso
La ricostruzione dei fatti, quelli evidenti e quelli più nascosti, che portarono al tragico assassinio di Yitzhak Rabin, Primo Ministro israeliano Nobel per la Pace, la sera del 4 novembre 1995.
Il 19 novembre 1995 venne istituita una Commissione, la Commissione Shamgar, che aveva l’incarico di indagare sull’omicidio del premier ucciso pochi giorni prima, ma non sui fattori scatenanti che avevano condotto a questa esplosione di violenza mai vista in precedenza. Gitai cerca di porre rimedio a questa mancanza utilizzando drammaticamente le testimonianze rese alla Commissione.
Lo scopo del film è fare emergere le chiare responsabilità dei rabbini e dei partiti politici che hanno portato avanti una campagna d’odio, sotterranea i primi e pubblicamente i secondi, in grado di plasmare le menti del paese fino a far ritenere Yitzhak Rabin un assassino e un traditore secondo delle perverse leggi morali e, soprattutto, religiose. Gitai mette quindi in scena riunioni e assemblee in cui, disconoscendo gli accordi di Oslo, si predica l’eresia, se è lecito utilizzare un termine simile in questo contesto, di Rabin che vuole “svendere” le terre del popolo ebraico e di conseguenza le vite dei suoi abitanti. Con i filmati d’epoca mostra invece le reali manifestazioni dei partiti avversari (principalmente del Likud di Netanyahu) che incitano alla morte del primo ministro in carica, rappresentato come nazista in divisa da SS.
Nell’urgenza di mostrare quante più testimonianze possibili, però, Gitai toglie ritmo all’opera e la rende eccessivamente didascalica, quasi un bignami della storia di quel periodo dello stato di Israele che, seppure per certi versi completo, certo non brilla per la vivacità della narrazione. E in questo senso un altro punto va fatto in merito alle intenzioni dell’opera: se vuole essere informativa, e questo sembrerebbe essere lo scopo considerati i materiali d’origine e le scelte registiche, manca di quel distacco indispensabile a farla arrivare a quante più persone possibili.
Il punto è che, qualunque sia l’opinione che si ha sulla questione israelo-palestinese, ci sono buone possibilità che si uscirà dalla sala senza che questa sia non diciamo cambiata, ma anche solo intaccata. E questo è un limite quando si dà alla luce un’opera di questo genere, ibrida tra documentario e fiction che rischia però di non soddisfare nessuna categoria di spettatore. Insomma, se si entra in sala immaginando Bobby o Parkland o JFK, si uscirà delusi dalla ridotta drammatizzazione degli eventi; se invece si affronta il film aspettandosi qualcosa come The Kennedy Assassination si rimpiangerà l’occhio asettico e imparziale del documentarista.
Il paragone con il presidente americano risulta peraltro incredibilmente pertinente anche in virtù del filmato quasi zapruderiano che ha ripreso l’attentato al primo ministro. E come la morte di Kennedy, che più di ogni altro presidente ha incarnato gli ideali del Sogno Americano, sembrò mettere fine a un’epoca particolarmente ricca di speranze, allo stesso modo la scomparsa di Rabin sembra aver per sempre cancellato ogni possibilità di pace perenne tra Israele e Palestina. È il dolore ancora attualissimo per questa perdita che permea l’ultima opera di Gitai e che, giustificatamente, rende impossibile il suo distacco emozionale.
Titolo originale: Rabin, the Last Day
Nazione: Israele, Francia
Anno: 2015
Genere: Drammatico
Durata: 153′
Regia: Amos GitaiCast: Ischac Hiskiya, Pini Mitelman, Michael Warshaviak, Einat Weizman, Rotem Keinan, Yogev Yefet, Yael Abecassis
Data di uscita: Venezia 2015 – In Concorso