Vieni via con me – Roberto Benigni e Claudio Abbado

La prima puntata del programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano

Ci sono momenti storici segnati dalla necessità. Di mandare un segnale, di farsi sentire, di credere che ce la si possa ancora fare. C’è un paese che non si riconosce nella “macchina del fango”, nel degrado culturale, nell’impoverimento morale e nella dequalificazione dell’essere cittadino. Un paese che crede nella democrazia, nel rispetto, nella libertà. E non si rassegna. C’è un’Italia ormai pronta a dire no e a farlo anche lottando e giocando “fuori casa”, su quel terreno televisivo invariabilmente colonizzato dalla politica del Padrone. E ci sono gli italiani. “Giovini italiani”, nell’accezione mazziniana usata da Saviano nel suo monologo finale. Quelli delusi, quelli scoraggiati, quelli amareggiati e magari imbarazzati. Quelli che almeno una volta hanno pensato: “Basta, vado via”. Gli stessi che, invece, sono rimasti e vogliono rimanere. Per cambiare, per andare avanti, per sentirsi sempre e comunque fieri di essere italiani.

Fabio Fazio e Roberto Saviano ce l’hanno fatta. Certo, forse dal punto di vista televisivo il programma avrebbe potuto rendere di più, tecnicamente parlando, con diversi meccanismi da rodare e situazioni e segmenti da fluidificare (era pur sempre la prima puntata). Ma non è di tecnica che si parla. Vieni via con me ha puntato sull’emozione nella sua accezione più alta; sul senso d’orgoglio di una popolazione, sull’intelligenza degli spettatori (opzione principalmente snobbata nella compilazione dei palinsesti). Gli ideatori del programma hanno sfruttato la capacità unificatrice del media televisivo per riflettere l’idea unitaria di un sentimento nazionale forte basato sulla democrazia, la libertà e la responsabilità.

Vieni via con me ha canalizzato la meritata popolarità dell’esemplare Saviano e del divino giullare Benigni per affermare in massa – come ormai solo la televisione in questo paese può fare (internet non è ancora pronto qui, fatto salva l’eccezione del popolo dei grillini) – che un’altra Italia è possibile e soprattutto che è responsabilità di ognuno di noi fare qualcosa per cambiarla. Ovviamente nemmeno la “qualità” è venuta a mancare. Il sistema degli elenchi su cui si basa la trasmissione è una trovata forte e riuscita. I 27 sinonimi di gay letti da Nichi Vendola, le ragioni per cui bisogna difendere la cultura contro i tagli indiscriminati del governo secondo Abbado e il duetto Fazio/Saviano sul resto qui/vado via (uno dei momenti più riusciti).
E poi, ovviamente, lo strabordante monologo di Benigni: Berlusconi e gli innumerevoli riferimenti alla più triste attualità, il restyling di E’ tutto mio, Vieni via con me di Conte e l’elogio del premio Oscar a Saviano e alla sua penna che rende immortali e ci insegna, come nelle favole, non che i draghi esistono, ma che si possono sconfiggere.

Ieri sera, su Rai Tre, è andato in onda un programma necessario. E così gli italiani l’hanno percepito. Vieni via con me è stato visto da sette milioni e seicentomila spettatori, con il 25,48% di share, quasi doppiando i numeri del Grande Fratello su Canale 5. E forse questo è già il primo segnale.

Vieni via con me – Quattro puntate ogni lunedì alle 21.15 su Rai Tre