Se le drammatiche storie delle decine di migliaia di desaparecidos uccisi dai regimi sudamericani hanno per fortuna trovato da tempo uno spazio anche cinematografico, basti pensare al recente Argentina, 1985 di Santiago Mitre (ma la filmografia è ricca, varia e interessante), il racconto dei sequestri, delle torture e degli omicidi avvenuti in modo del tutto analogo anche in Brasile era rimasto un po’ ai margini. A colmare in parte questa lacuna ci prova Walter Salles, regista degli apprezzati Central do Brasil e I diari della Motocicletta, tornato oggi dietro la macchina da presa per parlare del proprio paese d’origine in un momento storico particolarmente delicato.

Tratto da una storia vera, e dal romanzo omonimo scritto da Marcelo Rubens Paiva, che quei fatti li ha vissuti in prima persona, Ainda estou aqui ripercorre le vite e le conseguenze affrontate dalla famiglia Paiva dopo il sequestro e la scomparsa dell’ex deputato laburista Rubens Paiva, ucciso dalle forze armate dell’esercito golpista brasiliano. Cinque figli e un matrimonio felice, una casa vista spiaggia a Rio de Janeiro e un’altra di prossima costruzione, Rubens e Eunice sembrano immuni alle scorribande della dittatura militare. Finché un giorno Rubens non viene prelevato dalla sua abitazione per essere interrogato. Non farà mai ritorno.

La dignità di chi sopravvive, di chi non rinuncia, di chi resiste alle brutalità dei regimi e lotta fino alla fine per la giustizia, o quantomeno per ottenere un’ammissione di responsabilità. Salles costruisce un biopic dalla struttura classica e dal ritmo misurato intorno alla figura di Eunice Pavia (una credibile Fernanda Torres), determinata e battagliera ricercatrice di verità per la sua famiglia e il suo paese. Alla dolce e placida descrizione dell’amorevole vita familiare della prima parte del film, il regista contrappone la ruvida presa di coscienza di quale sia il volto reale della dittatura, spietata nell’esecuzione dei sospetti non allineati e nella repressione del dissenso e delle libertà più elementari.

Ainda estou aqui entra nel vivo del dramma di molte famiglie con impegno civile e il giusto tasso di condivisione emotiva, merito anche dell’ottimo cast (inclusi i giovani membri della famiglia Paiva), evitando la trappola del melodramma che solo nel finale (o nei finali) fa capolino indugiando sull’epilogo storico e privato della vicenda. Ne scaturisce un film se non originale dal punto di vista della messa in scena, piuttosto ordinaria in realtà, quantomeno urgente, in particolare per il regista che i Pavia e i loro figli li frequentava veramente come amico di famiglia.

Che questa storia abbia ripreso vigore oggi non è un caso. Come per altri film presentati alla Mostra del Cinema di Venezia 2024 (il film di Walter Salles concorre per il Leone d’Oro), ma come il cinema che guarda alla società è abituato a fare tout court, la memoria del passato si fa più viva quando il presente manifesta pericolosamente i sintomi illiberali e populisti di una deriva verso la quale troppo facilmente pensavamo di esserci immunizzati.