“Akher wahed fina – The last of us” di Ala Eddine Slim

Rinascita

Akher wahed fina – The last of us è il primo lungometraggio di fiction Ala Eddine Slim, presentato alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione della “Settimana della Critica”.

Due sconosciuti arrivano dal deserto per raggiungere il Nord Africa e da lì l’Europa attraverso il Mediterraneo. Quando uno dei due viene catturato in Tunisia, l’altro, il protagonista, dovrà cambiare strada. Tenterà successivamente una traversata in solitaria, il cui esito porterà la sua vita verso eventi imprevedibili, come incontrare una copia “primordiale” di se stesso e rinascere.

Akher wahed fina è un film delicato. Delicato perché non solo tratta di un tema molto sentito al momento, ma perché sfrutta tutte le possibilità del cinema per raccontare una storia che di politico ha il nucleo, ma che nelle mani del giovanissimo Eddine Slim diventa molto di più. Delicato perché pretende molto dallo spettatore: non avendo dialoghi richiede che tutta la sua attenzione si focalizzi sulle immagini del viaggio dello sconosciuto. La tragedia del Mediterraneo sconvolge gli equilibri geo-politici, e il protagonista è l’incarnazione di questo cambiamento: perso, solo, senza un linguaggio proprio.

Quando la sua barca affonda, non può far altro che aggrapparsi alla prima cosa che può salvarlo. Nel falso Eden in cui approda si riscopre, affronta se stesso, muore e rinasce come un uomo nuovo. L’unica possibilità secondo Eddine Slim, una completa rinascita: egli da preda (la caduta nella trappola per animali) diventa cacciatore e addestratore (genitore di se stesso), pronto per dare la vita a una nuova generazione di cambiamento.

Dunque Akher wahed fina è decisamente un film complesso sul piano contenutistico, dal gran valore politico, che però di piega sul mezzo cinema per esprimersi al meglio. Le varie forzature, come l’assenza della parola (sostituita in un inframmezzo da rappresentazioni grafiche) o la lentezza insistita, non fanno che rafforzare, esasperando lo spettatore affinché il film arrivi con durezza, incantandolo e trascinandolo in una dimensione a sé stante costituita da tutto quel che è stato dimenticato.

In conclusione, non si può certo negare però che per un’opera prima (tralasciando Babylon, documentario del 2012), Akher wahed fina sia un film molto pretenzioso, quasi arrogante, e a tratti eccessivamente lento e forse con qualche minuto di troppo, ma Eddine Slim riesce a subordinarsi in quanto regista per dare vita a un film trasparente, capace di raggiungere senza problemi lo scopo prefisso, ovvero quello di indagare sulla questione migrazioni attraverso un viaggio quasi metafisico, e le cui uniche pecche sono quelle dettate dall’inesperienza e dalla giovane età di un regista che ha però delle concrete possibilità di imporsi nel panorama moderno nel prossimo futuro tanto come artista quanto come critico.