Scritto, diretto e interpretato da Nate Parker, interamente ambientato e girato a Los Angeles, è un racconto molto teso sul quel tipo di violenza che nasce dal razzismo. La paura, i pregiudizi e il grilletto facile, il dramma di un eterno ritorno. Quello in scena è tema che non hai mai smesso di occupare l’attenzione di Autori e Attori nelle loro opere. Negli ultimi tempi, anche in serie tv più di intrattenimento, la narrativa cinematografica e “seriale” dei tanti problemi razzisti, che inondano gli Stati Uniti, si è concentrata nel mettere sotto analisi la violenza della polizia nei confronti dei neri. Lo fa ora anche Nate Parker in un film presentato da Spike Lee.
Lincoln Jefferson (Nate) è un veterano del corpo dei Marines e lavora come custode in un prestigioso liceo della California: un lavoro che si è trovato per garantire l’iscrizione alla scuola del figlio quattordicenne, KJ.
Una notte, Lincoln e KJ vengono fermati dalla polizia. Il padre si mostra obbediente agli ordini della polizia: patente, libretto, mani sul volante, esce dalla macchina come gli chiedono. Il ragazzo si infila una mano in tasca per prendere il cellulare, è costretto a uscire dalla macchina, non vuole mettere giù il cellulare, questo innesca un crescendo di panico che finirà male. La situazione degenera, uno dei due agenti spara al ragazzo.
Dopo il processo, Lincoln, come del resto tutta la sua famiglia e amici, è sgomento nell’apprendere che l’agente responsabile di avere premuto il grilletto rimarrà impunito e tornerà regolarmente in servizio senza essere rinviato a giudizio.
Uno studente di cinema lo contatta per intervistarlo. Il progetto di questo giovane è realizzare un documentario che spera poi possa girare di festival in festival per il mondo intero. Quest’idea che la sua storia possa essere ascoltata da milioni di persone, convince Lincoln ad accettare. Ma la sua idea è un’altra. Lui pretende la giustizia stabilita da un vero tribunale.
Lincoln, facendosi seguire dalla troupe del giovane regista, prende in ostaggio l’intera stazione di polizia, mettendo su lui stesso un vero e proprio processo dove la giuria sono i detenuti e la gente comune, sostituendosi di fatto allo Stato per dare finalmente giustizia al figlio.
Nel confronto finale, un tormentato padre (Lincolon), in cerca di pace e di una giustizia secondo lui equa, contro un disperato padre (il poliziotto) sotto processo ideologico, il dialogo è disperato nel restituire un impatto reale.
American Skin elabora una riflessione molto dura, ma sincera, sui tempi violenti gli Stati Uniti stanno affrontando.
Nate Parker, tre anni dopo il suo primo lavoro, Nascita di una nazione, si fa portavoce di un dialogo tra oppressi e forze dell’ordine.