“Anselm” di Wim Wenders

Anselm”, ultima fatica di Wim Wenders è più che un documentario. Come nei precedenti docufilm Pina e Il sale della terra, il regista trasporta lo spettatore in un mondo a sé, fatto di bellezza e autenticità. Protagonista è in questo caso l’artista tedesco Anselm Kiefer, celebre per opere contemporanee che spaziano dall’istallazione alla pittura, passando per scultura e fotografia. 

Kiefer è mostrato dai sinuosi movimenti di macchina come un demiurgo dall’animo ottimista, che guarda al mito, alla memoria e alla storia come fonti di inesauribile ispirazione, senza mai strumentalizzare o politicizzare il passato. La sua è arte in quanto tale, libera dai vincoli più terreni e quanto più vicina possibile alla filosofia.

Il regista, mai didascalico, lascia che sia l’artista a parlare di sé, quasi pedinandolo nel suo lavoro che, come un puzzle, è composto da numerose tessere che rendono tutto via via più nitido. La messinscena mimetica – si tratta di un numero ridotto di brevi sequenze – vede protagonisti un giovane e un bambino, che impersonano Kiefer in queste due fasi della vita: fondamentale è la fanciullezza, non solo per il protagonista ma certamente per lo stesso Wenders e soprattutto per la sua personale visione dell’arte.

“Quando il bambino era bambino,

era l’epoca di queste domande.

Perché io sono io, e perché non sei tu?

Perché sono qui, e perché non sono lí?

Quando é cominciato il tempo, e dove finisce lo spazio?”: questi sono alcuni versi de “L’elogio dell’infanzia” di Peter Handke, poesia incipit de Il cielo sopra Berlino, e in Anselm sembrano esserci alcune delle infinite possibili risposte a queste domande, tesi visivamente supportata dalla presenza quasi costante di ali.

È un inno all’osservazione attenta – come molte pellicole di W. W. d’altro canto – che si fa foriera di un messaggio profondo e soggettivo. Grazie all’utilizzo sapiente del found footage, della musica scelta con gusto e cura e soprattutto di tecniche fotografiche quali la doppia esposizione e l’uso – parziale – di un bianco e nero delicato e toccante il documentario è l’ennesima prova della maestria e unicità di Wenders.

Presentato al Festival di Cannes nella versione 3D risulta assai apprezzabile anche in 2D: lo spettatore si emoziona e riflette. Da non perdere.