Il regista e documentarista russo Victor Kossakovsky (nato nel 1961 a San Pietroburgo, allora ancora Leningrado) dà prova di grande prudenza presentando in concorso alla Berlinale 2024 un documentario che non offre occasione di polemica, da qualunque lato lo si voglia guardare. Per giunta partecipa per la Germania. Così è in una botte di ferro.
Il tema è, evidentemente, l’architettura. Ci concerne non solo perché i titoli di testa iniziano con i versi della poesia “L’aquilone”, di Giovanni Pascoli “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi di antico…”. Ci concerne anche perché il filo conduttore prende le mosse dal noto architetto ferrarese Michele De Lucchi (classe 1951, due Compassi d’Oro e una marea di opere progettate nel mondo) che fa realizzare nel giardino della sua casa di campagna un “cerchio magico” delimitato da pietre: proibito entrarci, unici autorizzati il cane e i cavalli.
Per la sua riflessione, Kossakovsky però parte da più lontano: dall’architettura del passato, dai possenti templi in pietra di Baalbek in Libano, lesionati ma in gran parte ancora in piedi, mentre palazzi moderni non reggono, come quelli abbattuti dal terremoto in Turchia del 2023, che mostrano alla telecamera i loro resti sventrati, con ancora arredi e tutte le tracce di vite spezzate in pochi attimi, persino le lenzuola ancora appese ad asciugare. Le ruspe tirano giù definitivamente e portano tutto all’immensa discarica, lenzuola comprese.
Il confronto è con gigantesche frane che trascinano a valle, con disinvolta potenza, terra, massi e macigni come se fossero fuscelli. Immagini davvero impressionanti, colte in modo spettacolare, che fanno sperare di non trovarsi mai sotto una montagna che frana.
La domanda a De Lucchi è dunque come si può costruire in modo più durevole? La risposta è indiretta: progettare ha un senso se migliora la vita delle persone. Dopo l’acqua, il cemento è oggi il materiale più usato al mondo. La risposta dei progettisti oggi dovrebbe essere costruire solo con materiali recuperabili.