Presentato in Concorso, dove sfigura a fianco di titoli – le proposte più interessanti di quest’anno sono state quelle della Francia e dall’Iran – mossi da un chiaro intento politico combinato a un uso consapevole del mezzo cinematografica, Argentina, 1985 di Santiago Mitre è un courtroom movie di tutto rispetto che dimostra una padronanza completa del genere codificato in seno a Hollywood, ma che non riesce a restituire la drammaticità e la tensione sociale di un momento cardine della storia nazionale argentina, della cui responsabilità il regista sembra come non sentire il peso.
La storia vera è quella di Julio Strassera – Ricardo Darín, già protagonista del film a oggi più convincente di Mitre, The Summit (2017) – e del suo vice Luis Moreno Ocampo – Peter Lanzani, coprotagonista nel memorabile El Clan (2015) di Pablo Trapero, che racconta con crudezza il fenomeno dei desaparecidos dal punto di vista degli esecutori –, i procuratori che, all’indomani della caduta della giunta militare – la cui credibilità era stata messa in crisi dai casi non giustificati di sparizione e dalla sconfitta nella guerra delle Falkland –, misero sotto accusa i suoi massimi esponenti per i crimini commessi ai danni del popolo argentino. Giostrandosi tra minacce di morte e defezioni, i due funzionari riusciranno a mettere in piedi un team d’inchiesta di tutto rispetto, nella speranza che al giusto processo segua anche una giusta condanna.
darindarin
Se la tendenza a celebrare sul grande schermo momenti di unità nazionale, testimonianza di una ritrovata coscienza storica comune attorno alla fine dei totalitarismi, sembra essere trasversale – basti pensare al caso coreano di 1987: When the Day Comes (2017) di Jang Jun-hwan –, così come quella ad adottare i tropi del blockbuster per raccontarli, quasi che la grandezza delle produzioni dovesse commisurarsi all’entità dell’evento e del consenso attorno a esso costruito, è altrettanto vero che non tutti i registi hanno saputo adottare un occhio sufficientemente severo, o semplicemente attento, alla complessità della situazione politica dell’epoca.
In questo senso, Mitre sicuramente non è riuscito a rendere un quadro dettagliato di come la società argentina fosse al suo interno frammentata, tra chi la dittatura l’aveva sostenuta in prima persona – costoro personificati dai parenti di Moreno Ocampo, i militari “brutti e cattivi” ma rinchiusi ormai nei loro salotti perché osteggiati dal popolo, il che, come sappiamo, non era affatto così –, chi si era macchiato di un colpevole silenzio – e sicuramente non aveva intenzione di compromettere la propria carriera nella fragile e impoverita Repubblica democratica argentina – e chi, invece, ha fatto da subito sentire la sua voce nella speranza che venisse fatta giustizia – la maggior parte dei personaggi tratteggiati in Argentina, 1985, incentivando così un confirmation bias nello spettatore che fosse digiuno di storia contemporanea, al punto di credere che questi fossero davvero rappresentativi della società civile del paese.
Benché caratterizzato da un sapiente uso dell’umorismo e della tensione, la cui alternanza permette di far scorrere piacevolmente un film altrimenti terribilmente appesantito dal lessico legale e dalla burocrazia giudiziaria, Argentina, 1985 è un film ricco di pietismo ma povero di dramma, anche se proprio su questo avrebbe dovuto concentrarsi dacché si tratta di rielaborare il momento di transizione dal riconoscimento del trauma collettivo al superamento dello stesso tramite la purga nera – di fatto poi non completamente riuscita, come ci ricorda anche il caso italiano, ma simbolicamente efficace e rimasta nei libri di storia. Una storia vera raccontata per estremi e senza un vero approccio ideologico alla storia, deludente per chi si aspettava qualcosa di più di un semplice prodotto di consumo su celluloide a sfondo storico.