Blue My Mind si inserisce nei numerosi racconti di formazione che mettono al centro l’attraversamento dell’adolescenza, il mutamento del corpo, la ricerca dell’identità. In questo non è un film originale. Eppure il primo lungometraggio di Lisa Brühlmann riesce ad assumere un tono unico e perturbante, perché non desidera essere una parabola a lieto fine. Mia, giovane protagonista, viene precipitata in una nuova città a seguito del trasferimento dei genitori. In un movimento repentino e inaspettato, si abbandona ad una dimensione di eccessi: entra in una “bande de filles” ‐ per citare un film di Céline Sciamma che ha qualche tratto in comune con l’opera della regista svizzera ‐ che la spinge a sperimentare stati alterati. Sesso, alcool e droga si introducono con prepotenza nella quotidianità, fino a sfociare in episodi di violenza. Parallelamente, un racconto dai toni fantasy avviene nella dimensione pulsante dell’acqua. Il corpo di Mia, che lei monitora ossessivamente e su cui lei stessa interviene con brutalità, si trasforma in maniera non ordinaria. Nei momenti in cui la protagonista perde coscienza, le inquadrature si soffermano su immagini subacquee, inanimate. L’aspetto di Mia muta fino ad assumere le sembianze di una sirena, in una metamorfosi repellente e al tempo stesso inevitabile. Una ricerca, dolorosa e intimistica, che è sovrapponibile alla tensione verso l’identità. Da sempre solitaria e senza regole scritte, come il racconto della Brühlmann.
Recensione di Sara Dotto
La figura della sirena ha trovato diversi significati nell’immaginario umano attraverso le epoche e, con Blue my mind, Lisa Brühlmann riesce a darne la propria interpretazione.
La regista ci catapulta nella vita di Mia, adolescente che si è appena trasferita in un’altra
città, e nei suoi problemi di integrazione fra i compagni e di comprensione di sé e dei propri cambiamenti: l’arrivo della prima mestruazione, i primi rapporti con i ragazzi ma anche un mutamento fisico inaspettato che non riuscirà a tenere nascosto a lungo. La predominanza del colore blu, presente in quasi ogni inquadratura, preannuncia ciò che sta per accadere, guidando lo spettatore attraverso un turbinio selvaggio di pessime decisioni che porteranno la ragazza alla disperazione. Di fronte all’impotenza delle figure adulte e all’incontenibile segreto da mantenere la ragazza capirà di dover trovare la propria strada da sé. La metamorfosi in sirena rappresenta, quindi, la crescita e la scoperta della propria natura che la ragazza impara ad accettare ed amare.
Recensione di Francesca Cordioli
L’opera prima della regista svizzera Lisa Brühlmann, Blue my mind (2017), fotografa la vita della giovane Mia nel passaggio dall’adolescenza all’età adulta, in tutte le sue contraddizioni e turbolenze. La tentazione di affidarsi eccessivamente ai cliché del classico film adolescenziale, condannandosi a un inevitabile anonimato, è abilmente evitata dalla regista: con un sapiente
dosaggio degli elementi narrativi a disposizione, la Brühlmann riesce a raccontare la ricerca personale della protagonista in un continuo gioco di simboli e rimandi immaginifici fino alla sublimazione nella mitologia, partendo dai riferimenti più classici del genere – l’allontanamento, fisico e soprattutto mentale, dai genitori o l’attrazione verso il “proibito” – per poi rimodellarli e
trasfigurarli in una vera e propria metamorfosi. Non lasciando nulla al caso, le coordinate stilistiche seguono armonicamente la narrazione, tanto nel montaggio quanto soprattutto nella fotografia, dagli intensi scambi di luci e ombre che irrompono nelle sequenze quotidiane alla costante e rassicurante presenza del blu, simbolo della catarsi, della fine del viaggio di Mia, della pace dei sensi. Blu che nel finale dell’opera, in effetti, viene presentato allo spettatore nella sua forma più ampia e pura: l’infinita e imperscrutabile vastità dell’oceano, a un tempo punto di partenza e approdo del percorso di formazione, che si mostra infine in tutta la sua circolarità.
Recensione di Silvia Bragagnolo