La disabilità, fisica o psichica, è un serio problema quando le famiglie sono lasciate sole ad affrontare le difficoltà della cura e della convivenza con un familiare disagiato. Difficoltà insuperabili senza necessarie competenze e specifiche risorse, nell’Iran di oggi così come anche spesso accade dalle nostre parti.

Attraverso toni da thriller, o da quasi horror, questo film racconta una storia dove la difficoltà non superata si è volta in tragedia. Una tragedia annunciata fin dai primi fotogrammi, dai toni lividi e dai colori freddi. “Ho due sorelle” dice in tedesco Emad, con l’orgoglio di un giovane uomo che si sforza di apprendere una nuova lingua in vista della realizzazione di un sogno, un futuro in Germania.

Le sorelle sono le due donne in auto con lui,  la bella Azar e la maggiore, Akram. Ma presto si capisce che Akram ha qualche problema. Infatti è autistica, ma al posto di essere maggiormente accudita, è costretta a lavori faticosi, che tuttavia sopporta con una forza fisica non comune, ed è trattata con durezza. D’altra parte il fratello ha le sue aspirazioni, la sorella minore lavora in una clinica estetica e Akram è sempre più un peso per entrambi: gestirla è difficile e non le vengono risparmiati insulti e cattiverie, quasi che la sua condizione sia colpa sua.

Con la sua forza, ad Akram basta un gesto e nemmeno si rende conto di aver fatto del male. Un male che Azar tenta di nascondere, ma da ciò scaturisce una spirale di azioni ansiogene e sempre sul filo di una tensione emotiva esplosiva. Non si può mai sapere che cosa passi per la testa di Akram e, messa continuamente alla prova, la complicità tra le due sorelle finisce per esasperare irreversibilmente i loro rapporti.

Parallelamente alla vicenda della disabilità, il film ci illumina anche su altri aspetti di quel lontano e complesso Paese. Colpisce in particolare la situazione delle donne che, pur sotto l’apparenza soggiogante di un assurdo tessuto sempre sul capo, si avviano verso una relativa autonomia e emancipazione: lavorano, guidano l’automobile e si fanno più belle, con botox e tutti gli altri ritrovati moderni. Una autonomia che però, a volte, deve essere raggiunta con l’astuzia, come quando Azar finge di parlare al telefono per avere l’indispensabile autorizzazione del maschio di casa a trasformare il giardino in una coltivazione di funghi illegali.

Con questo suo primo lungometraggio, Kaveh Mazaheri, quarantenne ingegnere di Teheran e regista autodidatta, ha ottime chance al concorso del 38° Torino Film Festival 2020.
Il 28 novembre 2020 la giuria del Festival di Torino, composta da Waad Al-Kateab (Siria), Jun Ichikawa (Giappone), Paola Randi (Italia), Martina Scarpelli (Italia), Homayra Sellier (Iran) ha valutato BOTOX come miglior film della rassegna, dotandolo del premio di €18.000.