Il regista del violentissimo e già di culto Bone Tomahawk (2015) S. Craig Zahler approda Fuori Concorso a Venezia con il suo Brawl in Cell Block 99, un action sopra le righe e ben congegnato che ci fa vedere fino a che punto lo spirito di abnegazione può spingere un uomo a sacrificare se stesso.
L’ex delinquente Bradley Thomas – interpretato da un Vince Vaughn in grande forma – ha appena perso il lavoro e scoperto della tresca di sua moglie Lauren – Jennifer Carpenter – , da qualche tempo rimasta incinta. Bradley però non si perde d’animo e per garantirsi una certa stabilità economica per quando nascerà il bambino si ridà allo spaccio, entrando in affari col boss messicano Eleazar – Dion Mucciacito. Tuttavia, quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo lavoro si conclude con la perdita del carico e la morte di due uomini di Eleazar, il quale pretende che anche dalla prigione Bradley onori il suo debito: se vuole che Lauren resti in vita, dovrà trovare il modo di farsi trasferire nel carcere di massima di sicurezza Red Leaf e uccidere un personaggio scomodo.
In controtendenza rispetto a quanto solitamente accade in questo filone, Zahler non è precipitoso e non vuole gettare subito le spettatore nella frenesia dell’azione: al contrario, si prende il suo tempo – buona parte della prima metà – per tratteggiare il personaggio principale – ruolo per il quale difficilmente ci saremmo aspettati Vaughn, che invece funziona a meraviglia. Bradley ha a cuore una sola cosa, proteggere i suoi cari, costi quel che costi: non si tratta di un maciste invincibile sprezzante del pericolo, ma di un – futuro – padre che avrebbe tutto da perdere se alla compagna accadesse qualcosa.
Ecco perché, senza la benché minima esitazione, stramazzerà a suon di pugni qualche poliziotto: quello che trascina delle scazzottate di Brawl in Cell Block 99 è la loro semplicità, il fatto che pur essendo poco coreografate e con effetti sonori non particolarmente convincenti siano in grado di rendere tutta la brutalità di un ex lottatore di boxe di quasi due metri nell’atto di avventarsi su inermi agenti in uniforme. Certo le armi da fuoco non mancano – sono sempre più presenti man mano che ci si avvicina all’epilogo – e il sangue e gli altri effetti speciali si sprecano, ma il vero punto di forza del film sono i cazzotti puri e semplici. In virtù di questa peculiarità, il montaggio non è frenetico e i movimenti di macchina sono pochi e selezionati, sicché è possibile seguire un combattimento senza essere costretti a indovinare cosa sia successo tra uno stacco e l’altro. Infine, ogni prigione e, più in piccolo, ogni cella, è caratterizzata da un particolare uso delle luci e dei colori, uno di quei casi in cui lo spazio scenico costituisce un’ulteriore strumento per decifrare lo stato d’animo del protagonista o la piega che la storia sta prendendo.
Il tutto gestito con impeccabile tempismo, chiamando in causa tutti i personaggi che ci sono stati presentati: ciascuno è parte attiva – nel ruolo di antagonista o aiutante – nella vendetta di Bradley, sia dietro che fuori le sbarre. Non c’è dubbio che S. Craig Zahler si sia dimostrato all’altezza della sua fama, affermando in maniera ancor più personale il proprio stile.