I calcinculo è una giostra del luna park, è formata da seggiolini singoli che girano velocemente, agganciati con catene a una base centrale.
L’obiettivo è prendere “il codino” appeso in alto; non è facile riuscirci, così chi è dietro si aggancia con i piedi e spinge forte e in alto chi è seduto sul seggiolino davanti, tira un calcio in culo insomma. Ci vuole destrezza e soprattutto occorre fare pratica.
Perfetta metafora di vita, quella della vita che gira e gira come una giostra, velocemente, per scendere devi fermarti ma come fai?
Intanto, la vita, o gli amici, o quelli che ritieni tali, ti prendono “a calci in culo”, ma nel frattempo cresci, acquisisci confidenza e impari a tirarli anche tu, per stare a bordo, a galla, per non fermarti.
E poi: altro giro altra corsa.
Lo impara Benedetta, la protagonista di questo film, che prima di afferrare, con i suoi tempi e modi, l’ambito codino, cioè il premio, qualche bel calcio lo prende, fa male, ma impara anche a rialzarsi.
Tema difficile da trattare quello dell’adolescenza, o almeno da raccontare, o ancora da riuscire a trasmettere qualcosa che resti, che duri nel tempo.
Calcinculo vince questa sfida difficile.
Chiara Bellosi dirige, Maria Teresa Venditti e Luca De Bei scrivono una storia di formazione sensibile e attenta, di asciutta raffinatezza, di primi piani e silenzi, di autentica, vissuta adolescenza.
La fotografia è di Claudo Cofrancesco, le musiche di Fabrizio Campanelli e di Giuseppe Tranquillino Minerva.
“Questa storia è una fiaba – racconta Chiara Bellosi – Ovvero: del giocare con la realtà. Quando ero piccola mi raccontavano le storie e c’era una differenza tra fiaba e favola. Così per me la favola è sempre rimasta qualcosa di un po’ triste e asciutto e barboso, con la sua morale inesorabile in chiusura. La fiaba invece è come un universo che si espande e raccoglie tutto quello che trova per strada: oggetti insensati, personaggi strambi, posti pieni di fascino ma sempre un po’ inquietanti. La fiaba tiene tutto insieme e racconta, non spiega, no, non spiega proprio niente. È una scoperta continua e alla fine nessuno ti dice cosa hai scoperto, lo sai solo tu. Quando ho letto Calcinculo, il primo modo di vederlo è stato questo: una fiaba nera come il fitto della foresta, ma col sentiero seminato di paillettes”.
Benedetta (Gaia Di Pietro) è un’adolescente taciturna, sovrappeso, con problemi alimentari, ha una madre filiforme che ha (dovuto) rinunciato a una vita da soubrette per via della gravidanza, ha due sorelle più piccole e ha un padre che ha una relazione con una vicina di casa.
Nè più né meno forse di tante altre coetanee, Benedetta affronta la sua adolescenza come meglio può, tra contraddizioni, chili di troppo, in costante rapporto di conflitto e amore con la madre.
Quando nella periferia romana dove vive arrivano le giostre, Benedetta conosce il giovane Amanda (Andrea Carpenzano), una giostraia dinoccolata che arrotonda non disdegnando di prostituirsi. Femminile e accogliente, spigliata dai modi spicci, Amanda accoglie Benedetta sotto la sua ala protettrice, un’ala sbarazzina da farfalla. Ha imparato presto ad applicare il motto “altro giro altra corsa”.
Una femminilità esibita e spontanea, vissuta quella di Amanda che ha fatto i conti con sé stessa e ha imparato a tirare calci alla vita; una femminilità timida e incerta, ancora da sbocciare quella di Benedetta, che è all’inizio di quel percorso che la porterà a diventare adulta.
Siamo in periferia, ci sono prati incolti, siamo ai bordi della primavera e c’è la bella stagione a strapiombo.
Benedetta instaura un silenzio dialogo fatto di sguardi con Amanda, una frequenza comunicativa che non riesce ad avere con sua madre, cui vuole bene ed è ricambiata, ma le due non riescono a capirsi, sono fuori tempo.
Amanda sviluppa un senso di protezione fraterno, in quel suo modo randagio di affrontare i giorni e soprattutto le notti, nei confronti di Benedetta.
Alla sua opera seconda, dopo Palazzo di Giustizia, Chiara Bellosi, grazie a due attori formidabili, Gaia Di Pietro e Andrea Carpenzano, firma un film intenso e intimo. Un film veramente bello, che non spiega, ma racconta, che non scruta, ma incoraggia gli smarrimenti che incontra accompagnandoli.