Non ci sono personaggi da manuale di storia del calibro di Leopardi o dei rivoluzionari della Giovine Italia al centro dell’ultimo sorprendente film storico di Mario Martone Capri-Revolution, bensì una capraia analfabeta ma curiosa e intelligente di nome Lucia, che entrerà in contatto con mondi diversi in un’isola paradisiaca che alla vigilia della prima guerra mondiale si fa tutt’altro che isolata, riempiendosi di personaggi venuti da culture e mondi diversi e lontanissimi da quella fetta di dolomiti immersa nel golfo di Napoli. Lucia (l’indivisibile Marianna Fontana, protagonista con la gemella Angela del fortunato film del 2016) ci tiene a ricordarci che lei port’ i’ capre e che non ha intenzione di fare altro, quando la famiglia le propone di sposarsi o comunque di lasciare l’isola e la casa paterna.
A farle cambiare radicalmente idea sul suo rapporto con ciò che non conosce sarà l’affascinante Seybu, capo di una comune di hippies ante litteram che hanno lasciato le loro agiate famiglie del nord europa per dedicarsi alla danza, alla meditazione e alla contemplazione del paesaggio unico dell’isola campana. E un altro modo tutto diverso di capire il mondo Lucia lo conoscerà dai discorsi in un ottimo italiano del medico Carlo (Antonio Folletto, che conserva lo charme di O’ Principe di Gomorra ma sacrifica quasi del tutto l’accento partenopeo), convinto bellicista scettico e fedele solo nella scienza. Il film segue la collisione tra questi due universi diametralmente opposti e una protagonista a tratti fragile e a tratti inscalfibile.
Nel raccontare quella che è una storia di rivoluzione non tanto italiana o caprese ma prima di tutto personale per la protagonista, Martone decide di adottare un approccio contemporaneamente semplice e spettacolare, riassumendo lo stile di vita e le idee dei due protagonisti maschili con poche e lunghe scene esemplari che sono però cesellate con cura, senza mai perdersi in monologhi rigidi e verbosi ma facendo parlare, almeno nel caso di Seybu e i suoi, le immagini e i suoni. Questi hipster di inizo novecento vengono raccontati attraverso gli occhi sorpresi e curiosi di Lucia, che passerà dal diventare vegetariana e nudista (con lo sdegno della famiglia) all’imparare cose impesabili per una capraia come lei, dalla lingua inglese alle tecniche di preparazione ai viaggi astrali (in una scena che poteva rasentare il trash ma che riesce a diventare forse la più bella del film grazie all’inventiva e alla fantasia di Martone, che fa scorrere i colori cangianti e i contorni irregolari dell’isola caprese sotto una Lucia immobile con gli occhi chiusi).
Più che la riflessione sugli ideali dell’uno o dell’altro maschio forte della storia, più che per la retorica su guerra, rivoluzione, conformismo e ribellismo (che senza essere spicciola è però semplificata e ridotta, forse per non appesantire un film che cerca di comunicare anche altro) a rendere Capri-Revolution qualcosa in più rispetto per esempio a un Noi Credevamo è un’attenzione scrupolosa alla creazione di una serie di scene emotivamente cariche e sconvolgenti grazie a un sapiente utilizzo di suono e immagine, di danza e musica, con le colonne sonore del compositore di musica elettronica Apparat (al secolo Sascha Ring, assistito da Philipp Thimm) che facendo sposare strumenti della tradizione mediterranea a suoni meccanici si uniscono perfettamente alle coerografie delle scene di ballo, che senza sembrare staccate dal film risultano invece perfettamente amalgamate in una struttura che inserisce questi momenti in maniera cadenzata all’interno della storia, allo stesso tempo alleggerendo e arricchendo la pellicola.
Il film di Martone riesce a usare queste scene magnetiche e suggestive per raccontare non solo e non tanto il dramma della guerra imminente o le ragioni di chi è a favore e di è chi contro, ma la naturalezza e l’innocenza della scoperta del diverso e del nuovo, attraverso un personaggio come quello di Lucia che esperienza dopo esperienza forma la sua opinione sul mondo che la circonda e su una realtà che, fino a pochi giorni prima, non conosceva nemmeno, sottolineando ognuna di queste esperienze con momenti estetizzati al massimo per i quali vanno ringraziati sia l’estro di Martone (qui molto più fantasioso e audace del solito dietro alla macchina da presa) che l’impareggiabile isola che fa da sfondo al suo colossal italiano.