Chiara Muti conclude la stagione dell’Opv

Marco Angius con Ravel e Bizet rivede la musica d'oggi

Non poteva concludersi senza il colpo di scena la prima stagione sinfonica dell’Orchestra di Padova e del Veneto firmata da Marco Angius. L’Apprendista stregone di Paul Dukas lascia infatti il posto all’orchestrazione di due brani pianistici di Debussy, elaborati da Ravel. Come è noto, nei periodi di scrittura più intensi il compositore riusciva a compensare le proprie fatiche perdendosi al pianoforte tra la musica di Debussy. Le due pratiche raggiunsero un punto di contatto nel desiderio di musicare la Sarabande dalla suite Pour le piano, che presto si accostò alla Danse su richiesta dell’editore Jobert. Abbracciando la sfida, Ravel ne ricava due mondi sonori paralleli che calzano perfettamente le attuali possibilità dell’orchestra laddove è richiesto uno sfoggio d’agilità non indifferente in relazione alle corpose sonorità della Sarabande.

Se non fossimo a conoscenza della data di composizione, si potrebbe supporre che i due lavori orchestrali siano stati elaborati come studi preparatori alle Valses nobles et sentimentales in cui i due caratteri distintivi si rincorrono instancabilmente in una successione di sferzanti sbilanciamenti ritmici applicati al valzer classico in un’esecuzione che si è spinta ben oltre lo spirito del più sarcastico Satie: massimizzando la riflessione che Ravel conduce sull’opera pianistica, Marco Angius si proietta verso scenari sonori allora nemmeno immaginabili, nel segno della visionaria sensibilità del compositore francese. In questo senso va dunque letta la tensione accumulata nell’epilogo finale, condensata in una graduale stratificazione di inaspettate trasparenze timbriche, disciolte solamente all’espandersi delle pause finali sul pedale degli archi.

Al contrario di quanto si potrebbe immaginare, gli intermezzi musicali che animano il racconto de L’Arlésienne di Bizet sembrano nutrirsi, seppur in un rapporto sotterraneo, della psicologia e del carattere dei personaggi che, in questa revisione critica della versione originale, si concentrano attorno un’unica voce. Al magico raccoglimento del fraseggio orchestrale si rapporta il coro che, intelligentemente collocato fuori scena, consente di stabilire un delicato equilibrio contrappuntistico improntato sulla dislocazione spaziale dei mezzi impegnati. Fortunatamente non sono stati sufficienti alcune brusche impennate declamatorie, dovute a un eccessivo potenziamento dell’amplificazione della voce di Chiara Muti, a scuotere il livello di sintonia instaurato.

A conclusione del concerto vagheggia l’idea che l’impostazione originaria del programma musicale, con la presenza del poema sinfonico di Dukas, avrebbe potuto intaccare lo spirito di quell’indagine applicata alle molteplici rifrazioni dell’opera musicale, condotta nei vari appuntamenti della stagione e qui finalmente portata a maturità in relazione all’orientamento della progettualità avviata. Dopotutto il coraggio e l’esclusività che caratterizzano la programmazione, qui arricchita dall’eccezionale presenza di un nome di forte richiamo, si classificano tra gli elementi necessari a salvaguardare l’evento musicale dalla banale festosità del tipico clima da ultimo giorno di scuola poiché l’inizio delle vacanze estive attende ancora le Lezioni di Suono con Salvatore Sciarrino e un festival sinfonico dal sapore tutto beethoveniano.