Clara Sola è una metafora della natura, della terra e della vita che ci riguarda tutti e che tutti dovremmo comprendere.
Clara è una donna sulla quarantina e vive in un contesto femminile con la madre e la nipote, in una umile fattoria immersa nella meravigliosa e selvaggia foresta pluviale in Costarica. Con una definizione tanto oggettiva quanto impietosa e sbrigativa, si potrebbe definire Clara menomata psichica, per i suoi comportamenti a volte infantili, a volte violenti e irrazionali. È anche menomata fisica, per il suo corpo reso gibbuto da una grave scoliosi.
Eppure Clara ha il dono di saper guarire, perciò continue processioni di disperati arrivano alla sua casa. Ella inoltre sa comunicare con gli animali, sa prevedere temporali e terremoti. Il suo viso è meraviglioso, intenso, profondo, eppure non sembra mai veramente presente.
Clara fa cose che la gente non capisce, oppure per le quali la cosiddetta civiltà ha creato sovrasensi che le rendono immorali. Ma costei è pura naturalità, primigenia, intatta, totale, pura: non ha bisogno di piacere agli altri, non vede il mondo con gli stessi filtri, non ha gli stessi pregiudizi. Non ha esitazioni a sporcarsi di fango, perché non è certo il fango la cosa sporca del mondo.
Il suo legame con la terra è inscindibile e ogni volta che un essere vivente viene ucciso Clara/Natura si rivolta, si infuria, vendica come un’Erinni la parte di se stessa che è stata violata. La sua stessa scoliosi sembra un simbolo del maltrattamento che noi umani facciamo alla natura, con inquinamento di terra, acqua, aria…
In questo contesto, anche la religione non è che una sovrastruttura, che infine va distrutta, e la morte stessa non è altro che ritorno alla natura attraverso una differente forma.
Un film attualissimo e senza tempo, grande e bellissimo, valorizzato dall’uso talvolta della camera a mano, che rende più efficaci le scene, più vicine e più empatiche e più spettacolari le riprese della grandiosa natura della foresta.
Nathalie Álvarez Mesén, la regista svedese di origini costaricane, classe 1988, ha saputo realizzare un’opera seconda ma già molto matura.
Presentato in concorso al 39° Festival del Cinema di Torino, questo film ha ottenuto il premio DAMS per la migliore direzione del cast con la seguente motivazione:
“Per aver saputo comporre un cast equilibrato di attori esordienti dove emerge la presenza scenica della protagonista, capace di raccontare il misticismo e l’oppressione della sessualità attraverso il proprio volto e il linguaggio del corpo”.