Primo film della selezione giapponese ad aver davvero lasciato il segno, Close Knit di Naoko Ogigami è un dramma intimista che racconta con delicatezza un questione sociale spesso ignorata nel Paese del Sol Levante, vale a dire la discriminazione verso coloro che non si riconoscono nel proprio genere.
La studentessa delle medie Tomo – Rinka Kakihara – è trascurata dalla madre, che un giorno la abbandona di punto in bianco. La bambina si reca pertanto in cerca d’aiuto dallo zio Makio – Kenta Kiritani – , che la accoglie in casa assieme alla compagna Rinko –Toma Ikuta. Inizialmente disorientata dal fatto la convivente dello zio sia nata uomo e abbia effettuato il cambio di sesso, Tomo presto comprende che Rinko è una donna a tutti gli effetti per quanto la società si rifiuti di riconoscerglielo. Grazie alle cure e all’amore di Rinko Tomo conosce per la prima volta il calore di una famiglia, ma i pregiudizi della gente “perbene” le impediranno di goderne appieno.
Il termine close-knit ha in quest’opera un doppio significato: da un lato, indica il lavoro a maglia cui Rinko si dedica nei momenti di rabbia o tristezza, dall’altro si riferisce alla profonda unità raggiunta dal nuovo nucleo familiare. Riprendendo un topos della letteratura giapponese, la Ogigami ci ricorda così che i veri legami non sono quelli determinati per nascita, bensì quelli che l’individuo intesse per libera scelta con coloro che gli sono affini.
Improntato a un lirismo realista, Close Knit è un inno alla libertà che non ha bisogno di affermare a gran voce i suoi princìpi, e che fa anzi della delicatezza di Rinko – di cui si segnala la grande interpretazione di Toma Ikuta – la sua arma più potente. La pellicola non è tuttavia immune a cadute di stile che scadono nel melodramma, quali la sequenza della contemplazione dei ciliegi in fiore e la storyline secondaria del compagno di classe di Tomo, le cui pulsioni omosessuali sono represse dalla madre. Ad alleggerire il tono – che altrimenti risulterebbe eccessivamente patetico – contribuiscono quindi gli spaccati di vita quotidiana della famigliola, caratterizzati da un’ironia spesso licenziosa e che ne restituiscono un ritratto non idealizzato, in grado di generare grandissima empatia.
Ma il presente non è l’unica dimensione contemplata. Attraverso accurate scelte di montaggio, la linea narrativa principale è intervallata da flashback dell’infanzia di Rinko – in gioventù ancora Rintaro – , travagliata dalla consapevolezza di essere una femmina intrappolata in un corpo maschile. Grazie al supporto dei genitori Rinko è riuscita però a vincere la vergogna e dopo il cambio di sesso ha fatto voto di lavorare a maglia 108 falli – i 108 desideri che nella tradizione buddista si frappongono tra l’uomo e il nirvana – per darli poi alle fiamme, in una sorta di funerale simbolico della sua virilità.
Nel complesso, Close Knit è un’opera che nonostante qualche eccesso di sentimentalismo realizza appieno la sua intenzione comunicativa, senza commettere l’errore di fossilizzarsi sul personaggio principale.