Dopo la fortunata serie Netflix Love, arrivata già alla seconda stagione, il produttore e sceneggiatore newyorkese Judd Apatow ha presentato due mesi fa il suo secondo prodotto televisivo nel giro di poco più di un anno. Si tratta della serie HBO Crashing, sitcom semi-autobiografica sulla vita del comico statunitense Pete Holmes. Nonostante la prima stagione da 8 episodi sia terminata solo domenica scorsa, HBO ne ha già ordinato una seconda di altrettante puntate prevista già per i primi mesi del prossimo anno.
La serie ripropone in ogni puntata la premessa del primo episodio: Pete, senza lavoro e senza casa dopo aver trovato la moglie a letto con un improbabile insegnante di arte, cerca di giorno in giorno un posto diverso in cui dormire per poter restare a New York a inseguire il suo sogno di diventare uno stand-up comedian. Personaggio patetico, ingenuo e a tratti troppo stupido (o almeno testardo) per scatenare la compassione tipica del tenero idiota,

Pete si imbatterà, col suo quasi fastidioso ottimismo, in alcuni dei suoi comici preferiti, da T.J. Miller a Sarah Silverman ad Artie Lange (tutti nel ruolo di se stessi), che un po’ per pietà un po’ per noia cercheranno di aiutarlo, se non a realizzare il suo sogno, quantomeno a non dormire per strada.
Uno degli ingredienti che rendono questi primi 8 episodi una stagione riuscita è sicuramente il mix insolito tra l’ingenuo ottimismo di Pete (elemento, anche se in dosi diverse, ben presente nella routine del vero Pete Holmes) con il cinismo ruvido di pressoché qualsiasi altro personaggio in cui il protagonista si imbatte, in primis quei comici professionisti che dell’esser cinici hanno fatto un mestiere. Se quello del lato oscuro di chi vive per far ridere è ormai un cliché di film e serie televisive, Holmes e Apatow (entrambi creatori della serie) lo ripropongono da un punto di vista insolito: dei comici con cui Pete si troverà improvvisamente a convivere vediamo esclusivamente il lato umano, tra dipendenze, depressioni e insuccessi professionali.
Ancora più insolito è il modo in cui Pete reagisce a questa inedita versione dei suoi idoli, per esempio dicendosi quasi invidioso di due personaggi come Steve Agee e Dave Juskow, due comici americani qui in una versione caricaturale di loro stessi, ritratti come due bambini cinquantenni costantemente accampati a casa della ben più nota Sarah Silverman. Pete sogna, si entusiasma per le cose più piccole, e qualche volta gli va bene, come quando viene assunto come warm up comedian (una sorta di capo claque col compito di intrattenere il pubblico nei tempi morti) in un programma di cucina, salvo poi rovinare tutto, ma sembra che nulla riesca a togliergli il sorriso dalla faccia. Così sarà fino all’ultimo episodio, quando un traumatico ritorno nella sua comunità, in occasione di un battesimo nella città dove viveva con la moglie, non metterà a dura prova l’adamantina positività dell’aspirante comico.
Quello che chiude la prima stagione è il più convincente di tutti gli episodi, sia per la maestria con cui viene reso il senso di inadeguatezza di un personaggio che si sente ormai estraneo tra i suoi amici e straniero in quella ruvida Manhattan, sia per la dose generosa di gag e scene dall’altissimo potenziale comico, dalla colazione nello strip club alla scena del battesimo. Impreziosita da numerosi cameo di comici, sia come interpreti di altri personaggi che nel ruolo di se stessi, questa prima stagione di Crashing si presenta come un’interessante e divertente finestra sul mondo della comicità a tutto tondo, dai problemi di un cabarettista alle prime armi ai drammi di un ricchissimo comico divenuto star di Hollywood.