Si intitola “Dahomey” come l’antico regno africano che durò tre secoli, prosperò grazie a un fiorente commercio degli schiavi e produsse moltissime opere d’arte. Nel 1894 il regno venne colonizzato dalla Francia, sino al 1960, quando il paese ottenne l’indipendenza e, dal 1975 prese il nome di Benin.
Il documentario mostra il percorso di 26 opere d’arte che nel 2021 vennero restituite al Benin dalla Francia, che in epoca coloniale ne aveva “incamerate” oltre 7000.
L’evento fu seguito da tutto il Paese e fu accompagnato da molti accesi dibattiti, che in gran parte vengono mostrati. Si tratta soprattutto giovani studenti, che si interrogano sul senso di questa restituzione, dopo che ormai la loro cultura è impregnata di altri modelli: “Sono cresciuto con Topolino e Superman, a che cosa mi riportano adesso queste opere?”. I dibattiti pro e contro sono accesi e naturalmente implicano anche vari giudizi sulla politica coloniale e sulle politiche di oggi della Francia e dell’Occidente, nei confronti dell’Africa. Purtroppo, con grande rammarico per quei giovani così poco consapevoli e così ingenuamente schierati, nemmeno una parola viene detta per ricordare che quell’arte africana, sì effettivamente sottratta e portata in Europa, ebbe però una importanza immensa e fondamentale nello sviluppo dell’arte occidentale, da Gauguin, a Matisse, a Picasso. Oggi una pur piccolissima parte di quelle opere vengono restituite e sono importanti e famose: ma se fossero rimaste in Dahomey, che ne sarebbe stato di esse? Sarebbero state così ben custodite, preservate, e valorizzate?
La regista franco senegalese Mati Diop, nata nel 1982 a Parigi dove è cresciuta e si è formata, è al suo secondo lavoro, dopo aver vinto nel 2019 con il suo film d’esordio “Atlantique” il Gran Premio della giuria al festival di Cannes. Il film sarà distribuito nei cinema in Francia nell’autunno 2024. Per ora no si sa se avrà distribuzione altrove.
Con qualche amarezza per il mancato riconoscimento per altri film di fiction che avrebbero – a mio parere – meritato più attenzione, occorre dire che questo documentario è stato premiato con il massimo delle onorificenze, l’Orso d’Oro, al 74°festival del cinema di Berlino. Non che non meritasse un riconoscimento, anzi: il dibattito che ha creato è di grande interesse e importanza. Però fiction e doc – a mio parere – non dovrebbero concorrere insieme.