Secondo lungometraggio dedicato all’antieroe creato da Fabian Nicieza e Rob Liefeld, con Deadpool 2 la Fox sembra voler proseguire nel suo tentativo di strappare il primato dei cinecomic ai Marvel Studios, affidando questa volta la regia alla già iconica figura di David Leitch – meglio noto come «uno di quelli che ha ucciso il cane di John Wick», come citato nei titoli di testa – e lasciando campo libero a Ryan Reinolds nella triplice veste di attore protagonista, sceneggiatore e produttore, confezionando un prodotto in grado di gareggiare ad armi pari con l’imponente Avengers: Infinity War ma che non lascia più dubbi sulla strada intrapresa dal franchise.

Il mutante Deadpool – all’anagrafe Wade Wilson, personaggio tagliato su misura per Reynolds, grande fan della saga lui stesso – è impegnato a trucidare “cattivi” in giro per il mondo. Tornato a casa per un po’ di meritato riposo, viene sorpreso da alcuni non ben precisati criminali che feriscono mortalmente la compagna VanessaMorena Baccarin. Distrutto dal dolore, prova a uccidersi ma a causa del fattore rigenerante è tutto inutile: letteralmente a pezzi, viene recuperato da Colosso che gli propone di entrare negli X-Men, ma già dopo la prima missione finisce in manette insieme a RussellJulian Dennison –, un giovane mutante che aveva cercato di aiutare. Mentre si trovano entrambi sotto chiave un misterioso guerriero venuto dal futuro di nome CableJosh Brolin – fa irruzione nella Prigione di Ghiaccio, determinato a prendersi la testa di Russell per evitare che egli possa trasformarsi nell’assassino che sterminerà la sua famiglia. Tenendo fede alla memoria di Vanessa, Wade dovrà salvare il ragazzo dalle grinfie meccaniche di Cable e dal terribile avvenire che lo attende.

deadpool 2

Inutile dirlo, i film su e con i supereroi ci hanno stancato, vuoi per la loro retorica insorbibile, vuoi perché ce ne sono veramente troppi e tra le infinite timeline dello cinematic universe è facile perdersi. Ed è qui che entra in gioco Deadpool, il quale ancor prima di diventare il gioiellino della Fox sembrava voler dire basta a un certo tipo di immaginario: partendo da premesse narrative affini a quelle di Wolverine – che non a caso è l’oggetto dei complessi di inferiorità del protagonista –, il fumetto si distingueva per l’umorismo dissacrante e spinto, la frequente rottura della quarta parete – cui contribuiscono le personalità multiple di Wade, assenti negli adattamenti cinematografici – e il gusto ossessivo per il crossover e le citazioni alla pop culture. Tutte caratteristiche in grado, da un lato, di allontanare i lettori alla ricerca di modelli edificanti – e per forza di cose i giovanissimi –, e di attirare viceversa quelli più smaliziati che di storie di bianco contro il nero ne hanno avuto abbastanza.

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Uno dei crossover più esilaranti con l’Hercules targato Marvel, risalente al 2009

Come già nel capitolo precedente, anche nel seguito si ha però l’impressione che gli sceneggiatori Rhett Reese e Paul Wernick – poco ha influito l’apporto di Reynolds, nonostante sia affezionatissimo al progetto al punto da imporre Brolin per il ruolo di Cable e far abbandonare il regista del primo Deadpool Tim Millerabbiano seguito una sorta di griglia andando a spuntare le caselle di ciò che il pubblico – conoscitore di Deadpool e non – si aspettava di vedere: violenza esagerata, dialoghi sboccati, momenti metacinematografici, citazioni più o meno oscure. E una volta spuntata la casella, magari aggiungendo un pizzico di droga o di nudità parziale per meritarsi il famigerato Rated: R, ci si può mettere il cuore in pace e andare avanti con la narrazione fino alla prossima tappa obbligata: il tutto per impedire che durante i 119 minuti di visione a qualcuno venga in mente di riflettere un attimo e dire: «Questo non è Deadpool». La forza eversiva del mercenario divorato dal cancro, se castrata nel film del 2016, qui è diventata puro esercizio manieristico: uno spesso strato di irriverenza fuori dagli schemi non basta infatti a coprire quella che è l’anima di un cinecomic come tanti.

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L’atto violento, salvo rare eccezioni, non è mai contemplato nella sua spettacolarità dalla macchina da presa di Leitch, che anzi spesso non lo mette completamente a fuoco o lo lascia persino in secondo piano, piegando verso un cinema più convenzionalmente action che punta sulle meccaniche dell’inseguimento e dello scontro 1 VS 1. Lo spettatore viene anche privato del piacere di riconoscere la citazione e di contestualizzarla, perché 9 volte su 10 sarà uno dei personaggi in campo a spiegarcela, magari guardando in macchina e rivolgendosi direttamente a noi che guardiamo per spuntare pure la casella della quarta parete, che viene sì rotta ma in maniera troppo pretestuosa. E quando Deadpool ironizza sulla «sceneggiatura deboluccia» centra proprio il punto, a partire dai loschi figuri che uccidono Vanessa fino al salvataggio spirituale di Russell. A ciò si aggiunge la questione delle minoranze tanto cara all’intellighenzia americana, cui nemmeno il politicamente scorretto Deadpool può sottrarsi: quello che più ha fatto infuriare i fan è stato il blackwashing – se così si può dire – della Domino interpretata da Zazie Beetz, ma a dare sui nervi sono semmai i siparietti che coinvolgono Testata Mutante Negasonica e la sua ragazza Yukio – l’unica gag che proprio non funziona.

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Ciononostante Deadpool 2 riesce a spuntarla grazie a una serie di intuizioni originali, come il tassista Dopinder e la vecchia cieca Al – nel fumetto l’uno non c’è mentre l’altra è relegata in una posizione via via marginale – o la missione della neonata X Force – cui probabilmente sarà dedicato un vero stand alone – messa su in fretta e furia, a buon diritto la parte più divertente del film in cui sia gli appassionati di serie e cinema popolare americani sia i nostalgici dei Nuovi Mutanti avranno modo di riconoscere qualche volto/nome noto. Rassegnati al fatto che il vero Deadpool al cinema non lo vedremo mai, restano comunque alte le aspettative per il sequel, contando che finalmente si è aggiunto il tassello fondamentale rappresentato da Cable.