Un vecchio taglialegna vive con due dei suoi figli e la nuora sui monti della Kabardino-Balkaria, una delle repubbliche caucasiche della Federazione Russa. Il ritorno del figlio minore, emigrato in città anni prima e chiamato ad assistere i fratelli nel lavoro di taglio degli alberi in seguito ad un infortunio del padre, riaccende duri conflitti familiari e aggrava le tensioni con gli abitanti del villaggio vicino.
Il vivaio di giovani esordienti che l’ormai classico del cinema Aleksandr Sokurov sta coltivando nell’ambito del suo corso universitario di regia con sede nelle estremità meridionali della Federazione Russa comincia a dare con regolarità i suoi frutti e i suoi debutti: dopo il Sofichka di Kira Kovalenko, tratto dalle pagine di Fazil’ Iskander, e l’originale e apprezzato Closeness di Kantemir Balagov, soffocante dramma personale e sociale di un’adolescente nell’ermetica comunità ebraica della città di Nal’chik, è il turno del lungometraggio di esordio di un altro allievo nato e cresciuto anch’egli a Nal’chik, capoluogo della Kabardino-Balkaria. In Deep rivers di Vladimir Bitokov, presentato prima al festival russo “Kinotavr” e poi al 53° Festival di Karlovy Vary (sezione “East of the West”), ci allontaniamo dagli angusti spazi urbani di Nal’chik e ci addentriamo nella profondità di questa repubblica russa a maggioranza musulmana stretta fra Ossezia, Circassia e Georgia per osservare da vicino le vicende di una famiglia di taglialegna tra i boschi e le vette del Caucaso.
Una piccola casa di legno isolata anche dal villaggio vicino, una famiglia composta da un padre, due figli e una nuora, una vita che si ripete più o meno sempre uguale, tra immane fatica fisica e contatto viscerale con gli alberi da abbattere nel bosco e con una natura aspra e matrigna: pare una situazione senza tempo da fiaba popolare, con tutti i risvolti inquietanti che spesso connotano le fiabe stesse. La famiglia in questione è stata infatti, per motivi che non ci è dato sapere, respinta e allontanata dalla comunità del villaggio vicino, entro cui non si può né si vuole più integrare, per quanto obbligata a fornire legname come da accordo pattuito con i gretti proprietari della segheria locale; le tensioni che oppongono i due fratelli (in primo luogo il sanguigno Bes – in russo “diavolo”) alla componente maschile del villaggio crescono fino a sfociare in serie minacce. Il ritorno tra i monti del fratello minore che anni prima si era trasferito in città, figliol prodigo malriuscito chiamato a sostituire l’anziano padre nel lavoro nei boschi, porterà solo a una tragica accelerazione verso la violenta tragedia finale che già era nell’aria.
C’è dunque molta carne al fuoco: l’esplorazione di un angolo remoto della Federazione Russa che sembra lontano anni luce dalle città conosciute ai più; la dura quotidianità di una terra dove sembra che il tempo si sia fermato; la peculiarità di un contesto geografico, quello del Caucaso settentrionale russo, abitato da comunità estremamente chiuse e ostili nei confronti del “reietto”; la messa a nudo, in un contesto che pare il grado zero della civiltà, di rapporti familiari conflittuali tra personalità forti, spigolose e orgogliose che sono anche uno specchio del contrasto tra il mondo rurale che gradualmente muore (il vecchio pater familias si prepara a lasciare questo mondo; la moglie di Bes, oppressa dal microcosmo patriarcale che la circonda, non riesce a far nascere un figlio) e quello urbano dimentico delle sue radici (il figlio minore non parla quasi più la lingua kabardina e non è assolutamente in grado di interagire con gli uomini del villaggio secondo il loro codice di comportamento). Va senz’altro dato atto al regista, che conosce bene il luogo dove è nato e cresciuto e ha intenzione di continuare a viverci e lavorarci, di essere stato un ottimo “osservatore partecipante” dei “fiumi profondi” che, stratificandosi, separano la sua terra dal resto del mondo, la famiglia dei protagonisti dal resto della comunità e i componenti della famiglia tra di loro. Si tratta peraltro del primo film recitato interamente in lingua kabardina, con poche intrusioni del russo funzionali alla narrazione, il che conferisce ai dialoghi una genuinità ancora maggiore.
Eppure, in ultima analisi, Deep rivers non riesce a spingersi oltre il taccuino dell’antropologo, malgrado la scrupolosità dell’osservazione e della forza delle immagini (specie quelle incentrate sull’interazione tra uomo e natura, tra l’animalesco Bes e il bosco). Nonostante il dramma familiare gravitante attorno a una figura di padre padrone ambisse a sfiorare la grandezza di una tragedia shakespeariana, o a costituire una variazione sul tema dei dostoevskiani Fratelli Karamazov, la vicenda dei taglialegna convince solo a metà, forse perché molti suoi aspetti, anche e soprattutto relativi alla psicologia dei personaggi, rimangono vaghi e schematici e non vengono inseriti organicamente nel tessuto di un racconto con uno sviluppo convincente (perché la comunità del villaggio coltiva un’aggressività così forte nei confronti dei fratelli taglialegna, fino ad arrivare al grandguignolesco massacro finale? Perché Bes è così intransigente, soprattutto con la moglie? Perché il fratello minore ricomparso dal nulla rimane fino all’ultimo a fare il tagliaboschi, se sin dall’inizio era chiara la sua totale incapacità di ritornare alle sue radici? Difficilmente tutto ciò può essere spiegato solo con il “carattere locale” caucasico). Il soggetto, insomma, risulta debole per 75 minuti di lungometraggio.
È comunque molto positivo che, in un paese tradizionalmente “capitalecentrico” come la Russia, l’ultima generazione di registi si stia interessando con passione e tenacia a zone meno note di quella sesta parte di mondo che è il loro paese (e anche a zone meno note dello spazio post-sovietico, come dimostra un altro film russo in concorso a Karlovy Vary, Sulejman Mountain di Elizaveta Stishova), e le trasponga sullo schermo senza cliché né filtri pittoreschi. Per ora gli allievi di Sokurov, Bitokov in primis, stanno cercando di dare forma a una cinematografia del Caucaso settentrionale, con una base finanziaria, tecnica e infrastrutturale in loco che in precedenza era sempre mancata; ci auguriamo che servano da esempio anche per altre delle tante regioni e repubbliche della Federazione Russa.