Terza creatura di S. Craig Zahler, che nel 2018 trovò a Venezia la sua première internazionale, Dragged Across Concrete offre la sponda per una riflessione complessiva sull’opera del regista e produttore americano. Ultimogenito che rende onore al suo nome e al contempo se ne allontana, dà risposte poco convincenti a questioni autoriali che la critica difficilmente si sarebbe posta, date le premesse del film stesso.
Nel corso di una retata, i detective Ridgeman – Mel Gibson – e Lurasetti – Vince Vaughn, già protagonista dell’opera precedente – vengono ripresi da un astante mentre infieriscono su un criminale ammanettato. Il video arriva ai media e immediatamente scatta la sospensione, con il primo che deve mantenere la moglie malata e la figlia e il secondo che vorrebbe chiedere alla compagna di sposarlo. Fregandosene della deontologia professionale, Ridgeman propone al collega di derubare un trafficante di nome Vogelmann – Thomas Kretschmann – e di sistemarsi a vita. Non sa però che questi sta organizzando un colpo in banca, e che anche l’ex-galeotto Henry – Tory Kittles – ha il suo piano per quel carico d’oro.
Motore della vicenda anche questa volta è la sete di vendetta, che può trasformare dei pacifici coloni in cacciatori di cannibali – Bone Tomahawk –, un onesto spacciatore in un assassino – Brawl in Cell Block 99 – e, perché no, dei poliziotti in rapinatori. Vendetta che però sinora aveva visto contrapporsi solo due fronti – i buoni costretti a diventare cattivi e i cattivi fino in fondo – e per lo spettatore era scontato da che parte schierarsi. Ora allo schieramento si aggiunge una terza incognita: il personaggio di Henry, le cui ragioni per mettere le mani sul bottino – salvare la madre dalla prostituzione e dare una vita migliore al fratello disabile – non sono meno valide di quelle dei due sbirri. E la complessità di questa dialettica triadica, in cui la banda di Vogelmann rappresenta il male assoluto, richiede una più accurata disamina degli altri due poli più ambigui.
Mai come in Dragged Across Concrete Zahler si era spinto in profondità nell’introspezione psicologica e nella descrizione del background dei suoi personaggi, ragion per cui ordisce un (troppo) ampio preambolo che ne lasci apprezzare le sfaccettature: sfaccettature che di fatto non ci sono, in quanto la volontà di scandagliare più a fondo non si sposa con una caratterizzazione adeguatamente sofisticata. Gli eroi di questa pellicola sono uguali a quelli che li hanno preceduti – monolitici, terra terra, violenti – e non c’è granché di interessante da sapere sul loro conto che già non si potesse carpire dal primo quarto d’ora. Abbozzando qualche simbolo – il leone che ritroviamo nel documentario TV e nel logo della banca, animale guida di una classe dirigente rapace da sopprimere – e provando timidamente a rendere il duo Ridgeman-Lurasetti una coppia braccio-mente con un parte più chiacchierona per Vaughn, Zahler non riesce – e non vediamo perché dovesse farlo – a discostarsi dalla formula elementare con cui reinventava i generi (western, crime, revenge movie) da combinare nello stesso prodotto.
Molto astuta invece la scelta di un’icona del calibro di Mel Gibson per il ruolo principale: ponendolo a fianco del “suo” Vaughn ed esibendone i segni dell’età Zahler lo ridimensiona, demolisce l’idea di eroe – e contemporaneamente di cinema – “morale malgrado tutto” che egli incarna, sottintendendo che certo immaginario è destinato ad avere la peggio, per quanto sul lungo termine si stia rivelando incredibilmente longevo – tanto che sarà proprio Ridgeman a risolvere le cose alla vecchia maniera.
Nonostante questa inaspettata verbosità, Dragged Across Concrete è solido come il titolo lascia intendere e fa volare più di due ore e mezza senza che né gli interpreti né la vicenda vengano a noia. Si riconferma però l’impressione avuta qualche tempo fa: Zahler resta ancor là, a un passo dall’eccellenza. Non che non sia evoluto nel frattempo, ma cercando di andare avanti ha fatto uno scivolone tornando al punto di partenza.