Presentato in Sconfini, Effetto domino è il secondo film di finzione del documentarista patavino Alessandro Rossetto, che a sei anni dal suo esordio compie una più decisa svolta verso la fiction e le sue esigenze espressive riconfermandosi conoscitore e interprete acuto del Nord-Est, una terra a oggi ancora troppo poco rappresentata sul grande schermo.
Ossessionato da un progetto destinato a cambiare lo skyline della provincia padovana, il geometra Gianni Colombo – Mirko Artuso – riesce a contagiare l’impresario edile Franco Rampazzo – Diego Ribon – con la sua visione: un complesso di appartamenti di lusso per anziani provvisti di tutti i comfort, il business del futuro. Rampazzo trova soci e finanziamenti, ma l’improvviso voltafaccia della banca fa scivolare il progetto dalle sue mani in quelle di investitori più agguerriti.
Basata sul romanzo omonimo (2015) di Romolo Bugaro, l’ultima fatica di Rossetto ricupera l’intero cast di Piccola patria – presentato a Venezia70 in Orizzonti – per raccontare non il disorientamento della disillusa gioventù veneta – di cui erano protagoniste Maria Roveran e Roberta Da Soller, qui nel ruolo delle figlie di Rampazzo che guarda caso si chiamano sempre Luisa e Renata – bensì l’impotenza dei suoi padri, i lavoratori per antonomasia che dopo aver costruito per una vita non riescono a impedire il crollo di quanto credevano imperituro.
Come spiegato nel prologo dalla voce narrante – in realtà sussiegosa e superflua, tanto che poi perde il proprio ruolo nell’economia del film –, nei paesi del Primo Mondo la popolazione anziana supererà quella in età lavorativa entro il 2050: Rossetto cerca di ricondurre questo fenomeno alla dimensione locale, in cui ancora sono invalse relazioni amicali e professionali basate sulla fiducia, una parola, questa, che è stata rimossa da tempo dal vocabolario dell’economia globale. Come pesci che abboccano all’amo, Rampazzo e le piccole imprese che gli sottostanno sono vittima di quella concatenazione di eventi – un effetto domino, appunto – che al di qua dello schermo ha messo in ginocchio l’imprenditoria veneta, impreparata a un confronto con i nuovi, inarrestabili concorrenti – i.e. la Cina, nella pellicola incarnata da Mr. Hu, il magnate hongkonghese che rileverà il progetto del protagonista. Facile sarebbe stato raccontare questa realtà ricorrendo al pietismo e al luogo comune dell’assenteismo statale; meno facile farlo con una sceneggiatura – che porta la firma anche della storica collaboratrice di Rossetto, Caterina Serra – che cerca di ripartire equamente colpe e meriti degli offesi, riuscendo anche a infilare una riflessione a lungo termine sulle conseguenze dell’invecchiamento demografico.
Per spiegare il mito fondativo dell’identità veneta, dell’industrializzazione e dell’annesso deturpamento del suo paesaggio – cui alludono le inquadrature aree del sito destinato al resort –, si ricorre a un’esegesi antropologica per cui l’essere umano avrebbe sempre cercato di irreggimentare la natura, di ridimensionarla, poiché ove v’è più vita vi è anche più morte. E nei paesi che già possono permettersi il lusso di guardare al prossimo secolo, la morte sarà una realtà ben più tangibile della vita, che andrà progressivamente ghettizzata e ricondotta a forme che ne occultino la sostanza. Da qui la grandezza della visione di Colombo, forse persino troppo raffinata per lui e che solo qualcuno come Hu, che vive dove il sole sorge prima che altrove, è in grado di perfezionare, mentre il Veneto, la regione che per prima aveva intercettato e inseguito questo sogno, sembra aver perso la bussola ora che il mondo e il mercato si sono definitivamente aperti.
Se si può affermare senza tema di essere tacciati di campanilismo che il cinema italiano è dominato da una tendenza Mezzogiorno-centrica, è altrettanto vero che opere come Effetto domino, che invece di enfatizzare arcaismi culturali per amore del soft power mette in scena un attualissimo conflitto inter e intragenerazionale guardando anche all’immediato rivale dell’Occidente, sono rare a vedersi. Potrebbe suonare come una speculazione, ma non lo è: proprio come il suo predecessore, Effetto domino è un film piccolo ma non da poco, che nonostante qualche incertezza programmatica si fa alfiere della Weltanschauung di un territorio e della sua gente.