Uno dei pochi cortometraggi d’animazione presentati a questa settima edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival è l’iraniano Ektesabat-e Etnesabe, dell’esordiente Samaneh Shojaei. Il film è una breve e ironica fiaba sull’importanza di accettarsi così come siamo.
Il corto si apre con il protagonista che, filmandole con il suo smartphone, ci mostra le sue foto di famiglia, tutte popolate da individui panciuti, con il naso grosso, gli occhi sporgenti e il collo storto, per poi riprendere sè stesso davanti a uno specchio, simile ai suoi parenti in tutto e per tutto tranne che per il collo storto.

La regista Samaneh Shojaeii

Con una certa rassegnazione, l’uomo pronuncia le sue ultime parole d’addio per poi impiccarsi a un ventilatore. Il tentativo però non andrà a buon fine, e una volta svegliatosi avrà una brutta sorpresa.

Con un’ironia sferzante e ben calibrata, la giovane regista decide di trattare con abilità il tema della falsata percezione di sé che caratterizza la nostra società. Non a caso protagonisti del brevissimo cortometraggio (meno di cinque minuti di durata) sono gli smartphone che per gran parte della giornata ci ritroviamo fra le mani e attraverso i quali filtriamo gran parte della realtà.

Con un finale così amaramente ironico poi, l’autrice smentisce e contraddice tutto il discorso che il protagonista, con il suo monologo iniziale, dedica a un confuso concetto di “razza migliore”. Con personaggi dai tratti goffi ma leggeri, accompagnati dalle note di Bach, la giovane regista iraniana vuole invitare lo spettatore ad accettarsi così com’è con una riflessione sull’importanza del senso di appartenenza.