“Favolacce” di Fabio e Damiano D’Innocenzo
Catapultati in soli due anni dall’esordio nella sezione “Panorama” della Berlinale, dove erano sbarcati nel 2018 con il loro primo lungometraggio La terra dell’abbastanza, i gemelli registi del cinema giovane italiano con l’edizione numero 70 della rassegna berlinese arrivano alla sezione concorso. Un traguardo raggiunto con rapidità straordinaria, ma i due D’Innocenzo non sembrano essere affatto una meteora. Il loro secondo lavoro è di grande profondità e intelligenza, unite a una originalità di scrittura e di narrazione che speriamo non si alteri con il passare del tempo.
“Quanto segue è ispirato a una storia vera, la storia vera è ispirata a una storia falsa , la storia falsa non è molto ispirata”. Così, tra serietà, ironia e fiabesco, esordisce la voce narrante, che spiega di aver trovato nel bidone della carta il diario di una bambina e da esso il film prende le mosse.
Siamo nell’Italia di oggi, quella della provincia; luogo delle riprese è Nepi, nel Viterbese, che assume del film un vago sapore di “Suburbia” americana. Ci vivono famiglie apparentemente per bene, mediamente piccolo borghesi ma anche un po’ più agiate, con i loro sogni nel cassetto e molte più frustrazioni che soddisfazioni. Il dato che li accomuna è una certa sbruffonaggine, o meglio burinaggine, ossia quella patina di diffusa ignoranza e superficialità che non appare se non nelle situazioni critiche, rivelando il loro lato violento, misogino e codardo. Personaggi che somigliano a talune macchiette di Carlo Verdone, ma qui i risvolti non sono così ironici e bonari, bensì drammaticamente verosimili. I reali protagonisti, come detto, sono però i figli di queste famiglie così affettivamente e socialmente precarie. Sono ragazzine e ragazzini svegli, intelligenti e studiosi, che hanno una loro visione del mondo e giudicano i genitori, ma in silenzio: sanno perfettamente che il loro giudizio non sarebbe capito e men che meno accettato.
“Abbiamo fatto La terra dell’abbastanza per poter arrivare a fare questo film – dichiara Fabio D’Innocenzo – erano 19 anni che ci pensavamo. Oggi ne abbiamo 31 e non volevamo che passasse altro tempo per non perdere quell’equilibrio di guardare i bambini senza giudicare”. “Anche noi – prosegue Damiano – da piccoli guardavamo le cose in un modo disilluso. Crescendo mi sono accorto che avevo ragione. I bambini non hanno inganno, compiono delle scelte che sono legate al loro pudore, che è ciò che mostriamo nel film: bambini che hanno preso coscienza di qualcosa che hanno visto ma non ne vogliono prendere parte. Quando si cresce, poi, si è costretti a perdere quell’innocenza, perché nessuno vivrebbe se non riuscisse a raccontarsi delle bugie, delle giustificazioni per vivere”.
È dunque ancora molto autobiografica questa pellicola intensa e tragica, dura come la vita sa essere verso ragazzi che, come i fratelli d’Innocenzo dicono di se stessi, sono cresciuti in fretta, “senza preservativo” . E’ una metafora del cambiamento della società italiana, un tempo solidale e ora violenta: “Noi somatizziamo quello che vediamo”, dicono.
Il cast attoriale è eccellente, con un sempre bravissimo Elio Germano (mattatore a Berlino, in concorso anche con il film “Volevo nascondermi” di Giorgio Diritti) e con i bambini, che sanno essere profondamente espressivi: “Non volevamo che ci fosse un filtro tra noi e gli attori bambini – spiegano i registi – ed è stato vulnerabile e tenero vedere come reagivano alle scene. Abbiamo voluto parlare loro in modo diretto, anche se è una responsabilità enorme, tanto che la bambina si è messa a piangere per la scena finale. Ma loro alla fine son più forti di quello che noi crediamo. Noi due ci identifichiamo un po’ in tutte le figure di quei piccoli protagonisti”.
La fotografia ha saputo fare del paesaggio un altro protagonista essenziale e delle immagini del cibo un efficace espediente narrativo. Che siano tavole imbandite, avanzi di cucina o brodaglie da mensa: “Io e mio fratello – dice Fabio – abbiamo un debole quando viene inquadrato il cibo, ci ricordiamo del film Napoleon and love dove il cibo veniva usato come segno del disgusto”.
Interessante e problematica è la figura dell’insegnante, personaggio molto umano, chiaro, forse l’unico davvero colto, consapevole, ma proprio per questo (si pensi, uno tra i molti, a “Un nemico del popolo” di Ibsen) gli viene assegnato il ruolo del “mostro” per convenienza, affinché gli altri possano lavarsi al coscienza; cosa che però scatena la sua fredda vendetta.
Il film sarà nella sale in Italia dal 6 aprile 2020 grazie a Vision Distribution.
Molto commossi, i fratelli D’Innocenzo hanno ricevuto un meritato Orso d’Argento per la miglior sceneggiatura: “Siamo felici di questo nuovo amico orso – dicono – ma non vediamo l’ora di ritornare a casa e di ricominciare a scrivere un nuovo film. Un film, come l’arte, che non deve piacere per forza, ma deve essere vero e onesto”.