Dialoghi scarni ed essenziali, molti silenzi eloquenti, uno squallido appartamento in un palazzone fatiscente in una indefinita periferia industriale in un luogo imprecisato, verosimilmente in Egitto. Questo è il palcoscenico surreale e metafisico dove si svolge questo dramma, una parabola della vita di gente comune, carica di ironia tragica.
Il film si apre con una immagine atroce, di un uomo che si da fuoco accanto a una raffineria.
Poi si ritorna in quell’appartamento, si vedono tracce di un certo benessere, (televisione, frigo e lavatrice) e un padre autoritario ma per nulla autorevole, una parodia di quel tipo di maschio gradasso e stupido, prepotente e antipatico. “Idiota” lo definisce un parente. Moglie e tre bambini, uno di essi lattante, subiscono con l’umiltà paziente di chi è rassegnato ai soprusi.
Questo padre, nella sua mitomania d’accatto, invita un prestigiatore per animare la festa per il quarto compleanno del figlio maggiore. Ma un gioco di prestigio finisce in modo anomalo e il padre viene irreversibilmente trasformato in pollo. La moglie resta dunque sola in un mondo fatto al maschile e dove una donna sola è fragilissima. Da qui inizia un’altra metamorfosi, ma questa volta per la donna, lenta, paziente e inarrestabile, fino a una umile ma impalcabile presa di coscienza.
Il regista Omar El Zohairyd, nato a Il Cairo nel 1988, già autore di alcuni lavori di successo, ha sviluppato il film Il Capofamiglia (Feathers) presso il Torino Film Lab ed è il suo primo lungometraggio.
Presentato al 39° Festival del Cinema di Torino – TFF 2021, ha ottenuto il Premio speciale della giuria (ex aequo a EL PLANETA di Amalia Ulman), con la seguente motivazione:
“Un autore potente, audace ed espressivo che domina con maestria i numerosi livelli del linguaggio cinematografico”.