“Flora” è un docufilm diretto da Martina De Polo: narra la storia di Flora Monti, staffetta partigiana a soli dodici anni, durante la seconda guerra mondiale.
L’opera è strutturata con un continuo alternarsi tra le testimonianze dirette di Flora, anziana ma piena di ricordi ancora nitidi ed emozionanti, e una ricostruzione quasi del tutto silenziosa di alcune tra le scene degli eventi raccontati dalla protagonista.
I fatti iniziano nell’Appennino tosco-emiliano, esattamente in provincia di Bologna, dove la bambina è parte integrante della Resistenza, poi le vicessitudini del conflitto la porteranno, insieme con i genitori, a passare – dopo un viaggio di terrore e angoscia – ben sette mesi da prigioniera a Roma, nel campo profughi allestito a CineCittà.
La storia è composta da molti pezzi, che contribuiscono a renderla più chiara e completa nella sua narrazione, e in questi certamente non può non figurare la testimonianza diretta: la parola in questi casi smette di essere solo un ricordo e diventa esempio valido all’infinito, far parlare una testimone come Flora Monti in un docufilm significa imprimere quel momento di vita, suo e di un Paese, nell’eternità.
Tra i tantissimi eventi messi in luce dalla protagonista due, forse più degli altri, colpiscono profondamente lo spettatore: un bambino cambiato su un cadavere, di cui non si conosce la nazionalità né tantomeno lo schieramento, e la gioia provata nel venire a conoscenza della fine della guerra.
Per quanto riguarda invece la ricostruzione, che è più una metafora che una messinscena degli accadimenti reali, è interessante l’uso delle maschere: terminando solo in concomitanza della fine del conflitto sembra significare che le guerre spoglino tutti della propria umanità, della propria individualità, ma l’interpretazione rimane totalmente libera.
Si tratta di un docufilm ben realizzato, emozionante e utile per conoscere nei dettagli un periodo complesso della storia contemporanea italiana.