Giulio Cesare alla Scala

S’è fatto un gran parlare attorno al Giulio Cesare in Egitto al Teatro alla Scala. La Fondazione aveva annunciato un progetto händeliano per il triennio 2019-2021 comprensivo del titolo in questione, di Semele (sostituita poi da Agrippina) e di Ariodante, con prima donna assoluta Cecilia Bartoli, ritiratasi la scorsa estate. Apriti cielo, piovono strali contro il Teatro, la cantante, previsioni nefaste e fiumi d’inchiostro stampato e digitale. Andato in scena, ecco una nuova polemica su Cesare e Sesto controtenori, nata alla prima tra platea e loggione e continuata su quotidiani, web e forum – querelle piuttosto inutile dato che ci sono ancora teatri che scritturano un baritono per Cesare e un mezzosoprano per Sesto. Il bello della Scala è anche questo, a dimostrazione che certe piazze sono più vive di altre dove si fischia solo Michieletto per partito preso. Tali polemiche hanno contribuito ad alimentare la curiosità, tanto che le recite hanno registrato un buon numero di pubblico, persino il tutto esaurito giovedì 31 ottobre, a quanto riferitoci dal solerte bigliettaio nel foyer.

L’eterna lotta per il potere

Giulio Cesare in Egitto arrivò al Teatro alla Scala solo nel 1956 nella prima produzione italiana diretta da Gianandrea Gavazzeni. L’edizione presentata oggi è ridotta di quarantacinque minuti rispetto alle quattro ore integrali. Ciò è dovuto ad alcuni tagli che incidono lievemente sulla drammaturgia. Se il librettista Haym prevede, oltre alla relazione amorosa tra Cesare e Cleopatra, la contesa di Cornelia tra Curio, Achilla e Tolomeo, qui le parti omesse riducono notevolmente tale disputa per favorire solo quella del perfido fratello di Cleopatra. Vengono tolte le arie “Non è si vago e bello”, “Tutto può donna vezzosa”, “Se a me non sei crudele”, “Cessa omai di sospirare”, “La giustizia ha già sull’arco” e “Non ha più che temere”. Scompaiono la marcia n. 42b e le sezioni B di “Tu la mia stella sei”, di “Se in fiorito ameno prato”, de “L’aura che spira” e del duetto finale.

Mentre a Venezia si dava la sua intramontabile Traviata, Robert Carsen presenta alla Scala un allestimento geniale sotto molti aspetti. La vicenda è trasposta ai nostri tempi e il motore dell’azione è la lotta per il potere. Cesare è un ambizioso generale giunto in Egitto, si scoprirà alla fine con un divertente colpo di teatro, per il petrolio, mentre Cleopatra è in lotta col fratello per il comando dell’esercito.

Carsen dosa con estrema perizia l’elemento tragico e il comico, Venere e Bellona. E’ su Cleopatra che il regista si concentra, riservandole trovate stupende per intensità ed efficacia, riuscite anche grazie alla forte presenza scenica della De Niese. Entra in scena sotto le vesti di Lidia avvolta in un tappeto, come ricorda Plutarco nella Vita di Cesare. La seduzione di Cesare è il momento più commovente: Giulio si accomoda su una poltrona per assistere a “Le dee del Nilo”, ed ecco comparire, in bianco e nero, Claudette Colbert, Vivien Leigh e Liz Taylor, interpreti di Cleopatra, e “per la prima volta sullo schermo” Lidia, la splendida Danielle de Niese che esce dallo schermo per incantarci con “V’adoro, pupille”. L’accompagnano quattro ballerine che con le ali di Iside eseguono una danza sensuale e sospesa sulle coreografie di Rebecca Howell.

Lo scontro Oriente-Occidente avviene sia sul campo di battaglia sia nel privato della diplomazia con una gustosa ambasciata in cui Cesare e la sua delegazione offrono un pallone da calcio e vestiti di Fendi, mentre Tolomeo regala abbigliamenti orientali e un’enorme anguria. Nel dover rappresentare la disperazione della vedova Cornelia, ridotta schiava e quasi stuprata da un intero commilitone, e di Sesto, l’unico personaggio poco centrato, una sorta di boy scout che vorrebbe diventare soldato, il rapporto madre-figlio risalta in tutta la sua drammaticità.

Non poteva esserci cornice migliore delle scene di Gideon Davey, semplici pareti in cui ci si perde a scrutare i geroglifici contemporanei alla ricerca di mitra, bombe, tablet, disposte a creare i diversi ambienti egiziani, sapientemente illuminati da Peter Van Praet. Tra i costumi, sempre curati da Davey, abbondano divise camouflage e fogge orientali, oltre a un gran numero di cambi per Cleopatra.

Un buon cast

Alla guida dell’Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici c’è Giovanni Antonini che dà una lettura chiara e pulita della partitura. Il rigore impresso nell’ouverture iniziale, eccessivamente fredda, si stempera via via in un discorso articolato, ricco di colori, sfumature e dinamiche sempre pertinenti e in ottimo rapporto col palcoscenico.

Su tutti spicca Danielle de Niese, chiamata a sostituire la prevista Bartoli. Nella sua Cleopatra l’arte della seduzione prevale su quella politica. La dizione è sempre ottima, il fraseggio curato e la voce omogenea e salda in acuto. Si disimpegna agevolmente sia nel canto d’agilità e di coloratura, sia nei momenti di maggior pathos.

Pur preferendo il contralto nel title role, dobbiamo riconoscere che Bejun Mehta è Cesare efficace, autoritario e ben risolto sulla scena, dal timbro convincente, agile nei passaggi tra registri e nitido nel fraseggio. L’interpretazione è in crescendo per culminare nell’aria “Se in fiorito ameno prato”, tutta giocata tra splendidi ritardando, pause e ripieni, e “Va’ tacito e nascosto”, in costante duello col corno.

Sara Mingardo è Cornelia matronale dalla vocalità morbida e sapientemente sfumata. Qualche problema di volume in “Priva son d’ogni conforto” non inficia una recita nel complesso perfetta. Particolarmente apprezzato dal pubblico il duetto finale del primo atto. Il controtenore Christophe Dumaux è Tolomeo crudele, ampiamente delineato nella sua natura licenziosa, supportata da un’ottima tenuta dei fiati e dalla disinvoltura nel passaggio tra registri. Philippe Jaroussky non ci convince nei panni di Sesto. Pur apprezzando l’impegno conferito, è una prova di forza che lo sfianca dalla prima aria a “L’aure che spira”. Bene l’Achilla di Christian Senn, il Curio di Renato Dolcini e il Nireno del controtenore Luigi Schifano.

Impeccabile il Coro del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni.

Nonostante la contestazione di una loggionista:”Non ci risulta che Cornelia avesse una figlia femmina” al termine del duetto Cornelia-Sesto nel primo atto, il cast ha riscosso consensi generali alla recita del 31 ottobre.

Luca Benvenuti

Credits Brescia/Amisano