Tratto dal quinto romanzo della saga di Hiroyuki Kurokawa, Hamon: Yakuza Boogie di Shotaro Kobayashi è un buddy movie che, pur sapendo di già visto, costituisce una divertente parodia della tradizione degli yakuza eiga.
Il consulente edile Keisuke Ninomiya – Yu Yokoyama – funge da intermediario tra gli imprenditori e la yakuza, spesso rivolgendosi al malvivente Kuwahara – Sasaki Kuranosuke. Un giorno i due vengono contattati da un sedicente produttore cinematografico, tale Koshimizu – Isao Hashizume – , in qualità di consulenti per la realizzazione di un film di mafia. Il progetto piace talmente che anche il boss di Kuwahara decide di contribuire economicamente, sennonché Koshimizu se la dà a gambe coi soldi. Onde evitare di perdere il lavoro e la reputazione, Ninomiya e Kuwahara dovranno mettersi sulle tracce del truffatore, passando per interrogatori, risse e una buona dose di imprevisti.
Punto di partenza di ogni film sull’amicizia che si rispetti è la strana coppia che domina la scena, e Hamon: Yakuza Boogie non fa eccezione. Ninomiya e Kuwahara appartengono a due mondi agli antipodi ma sono accomunati da un tratto fondamentale: il bisogno costante di denaro. Come di consueto, il corso degli eventi farà emergere le rispettive doti e la stima reciproca, per quanto camuffata dal turpiloquio, seguirà a ruota. Appunto la lingua costituisce uno degli aspetti più curati da Kobayashi: nativo di Ōsaka, si è sempre detto infastidito dai film che pretendono di portare in scena una storia di yakuza impiegando attori che non conoscono il dialetto locale; ragion per cui per il suo quarto lungometraggio sono stati scritturati soltanto osakiani al cento per cento, conseguendo a sua detta un risultato più realistico.
Al di là di questa raffinatezza ad appannaggio degli spettatori madrelingua, la sceneggiatura approntata da Kobayashi fa affidamento su gag in cui l’atmosfera gangster stona con l’attitudine sia di Ninomiya, pavido e insicuro, che di Kuwahara, che prende la sua missione troppo sul serio come se si trattasse di un viaggio senza ritorno alla Sonatine. Ad aumentare ulteriormente l’effetto comico vi è il binomio umorismo-violenza: essendo pur sempre un mafioso – anche se di grado non elevatissimo –, Kuwahara non esiterà a ricorrere a metodi di persuasione non convenzionali, torturando Koshimizu con una penna a sfera o ancora perforando la guancia di un suo rivale con le bacchette.
Bisogna dire però che nonostante l’ottima interpretazione Sasaki Kuranosuke non ha per nulla la faccia da yakuza e in generale il casting, se accurato sotto il profilo “linguistico” come si diceva sopra, sembra quasi non essere stato effettuato nell’ottica di girare un film sulla mafia giapponese, con troppi criminali facce d’angelo.
Tutto sommato non ci dispiacerebbe se il finale cliffhanger di Hamon: Yakuza Boogie preludesse a una serializzazione nel prossimo futuro, in virtù delle risate genuine che Kobayashi ha saputo regalarci.