“Here” di Robert Zemeckis
Diretto da Robert Zemeckis, che scrive la sceneggiatura con Eric Roth, il film è ispirato alla graphic novel di Richard McGuire (fumetto in 6 pagine pubblicato per la prima volta nel 1989, poi ampliato e arricchito nel 2014). Nei disegni di McGuire viene mostrato l’angolo di una casa; i 35 riquadri che seguono mostrano la posizione di quello spazio in diverse epoche, dalla Preistoria al futuro, con vari personaggi nei vari periodi storici..
E seguendo le orme di McGuire, Zemeckis, attraverso la prospettiva fissa (all’interno della casa la telecamera è puntata sempre sul soggiorno) racconta lo scorrere del tempo – con salti avanti e indietro negli anni – in un angolo della in Pennsylvania, dalle foreste selvagge dei dinosauri fino alla costruzione di una casa nel 1907 che vedrà l’avvicendarsi di una serie di famiglie fino dopo la Pandemia da Covid.
Durante le vicende di un’epoca o di una famiglia, Zemeckis ritaglia un’inquadratura rettangolare di un’immagine separata, che diventerà parte della scena successiva, ambientata in un periodo di tempo diverso, ma tale da rispecchiare i cicli della vita e della prevedibilità di quest’ultima.
Nei vari andirivieni temporali entrano in scena molti personaggi, più o meno interessanti – dai nativi americani a Benjamin Franklin, a suo figlio e al figlio di suo figlio fino a una famiglia di afroamericani – cui non viene dato lo stesso spazio e profondità. Fin da subito lo spettatore comprende che a interessare Zemeckis e Roth è solo la coppia interpretata da Tom Hanks e Robin Wright (ringiovaniti digitalmente dall’adolescenza in avanti), ossia Richard e Margaret per gli anni ’50, ’60 e ’70 (tra l’altro: una reunion per i 30 anni di Forrest Gump).
È un film originale, senza dubbio; e ambizioso.
Però. Nello sviluppo della trama l’originalità non riscatta la banalità e l’ambizione è vittima dell’ambizione stessa.
Zemeckis tiene nelle sue mani emotività ed estetica, i grandi temi cosmici che ruotano intorno al tempo che fugge via, ai successi e ai fallimenti dell’umanità, alla vita e alla morte. Il meccanismo della trama a lungo andare fa fatica, e il regista non riesce a fare una delle sue magie, o il giocoliere per ammaliare, divertire o commuovere il suo pubblico.
L’ambizione con un pizzico di presunzione fa anche bene all’attività di un regista come Zemeckis che si è sempre divertito a giocare con il tempo da Ritorno al Futuro, o a raccontare attraverso le imprese di Forrest Gump l’intera seconda metà del XX secolo. Occorre essere generosi e brillanti, non freddi e autoriali.
L’intera esistenza delle connessioni tra i piccoli e grandi momenti vuole qui essere osservata, o intrappolata, da un’angolazione fissa. In un’ora e quaranta circa si ha l’insofferente sensazione di assistere ad una sitcom noiosa, un collage di rimpianti e lezioni di vita.