“High Flying Bird” di Steven Soderbergh

Per Steven Soderbergh siamo al quinto film dall’annuncio del ritiro dal mondo del cinema, un traguardo importante se non unico per il regista di Ocean’s Eleven. Nonostante la notizia  (nel lontano 2013) dell’addio ai film, come aveva già fatto più e più volte negli ultimi anni tra film per la TV, serie, miniserie, app interattive e altri esperimenti non sempre riusciti, il regista di Sesso, bugie e videotape decide di esplorare il mondo dell’audiovisivo fuori dal grande schermo e questa volta sceglie di farlo nel più mainstream dei modi, vale a dire con un film in esclusiva per Netflix. Con il dramma sportivo High Flying Bird infatti (disponibile sulla piattaforma dal 8 febbraio scorso) Soderbergh continua ad esplorare le nuove frontiere del mondo del cinema sia per quanto riguarda la distribuzione che per quando riguarda le tecnologie di produzione, con il secondo film girato interamente con la videocamera di un telefonino (dopo Unsane dell’anno scorso).

In High Flying Bird il regista di Erin Brockovich  racconta la storia di un procuratore sportivo (André Holland) che decide di approfittare di un lockout dell’NBA (una sorta di blocco del campionato di basket americano per mancati accordi sulla divisione dei profitti tra le squadre e i giocatori) per dare inizio a un braccio di ferro senza precedenti tra i giocatori (suoi clienti e non) e l’intera lega. Non è la prima volta che Soderbergh cerca di occuparsi di una storia che ha come sfondo il complicato mondo dello sport visto da fuori dal campo di gioco, dato che prima di essere affidato a Bennett Miller il pluripremiato Moneyball doveva essere diretto proprio dal regista di Traffic, all’epoca in pieno disaccordo con la produzione su alcune decisioni artistiche.

E se il Moneyball di Miller era un film solido ma canonico (al limite dello scolastico), in High flying Bird Soderbergh ha invece modo di trasformare un film sportivo qualunque in qualcosa in più, sperimentando e osando sia dal punto di vista tecnico (non solo per quanto riguarda la scelta di riprendere tutto il film con un iPhone ma anche per la scelta delle inquadrature statiche, del montaggio serrato, dell’assenza quasi totale di colonna sonora) che sul piano dei contenuti, con dialoghi che affrontano argomenti importanti come il conflitto razziale negli Stati Uniti e lo spettro della schiavitù (termine usato più e più volte nel film e mai a caso). La pellicola è poi arricchita da una serie di intervista a veri giocatori NBA che danno allo spettatore un punto di vista autentico e sincero sia sulla vita all’interno della lega che sulle questione più alte affrontate dal film. Anche senza sfornare un capolavoro o un film che resterà più di altri nella testa degli spettatori, Soderbergh riesce a portare su Netflix un progetto interessante e valido che difficilmente avrebbe trovato spazio nelle sale. Speriamo che il suo ritiro dalle scene continui in questo modo.

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