Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato

Da qualche anno ormai il Teatro Stabile del Veneto dedica il periodo estivo a uno o più titoli della commedia dell’arte con un copioso numero di repliche per turisti e non da giugno a settembre inoltrato. Il figlio di Arlecchino perduto e ritrovato, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto, è andato in scena al Teatro Goldoni di Venezia dal 28 giugno al 18 luglio e vi ritornerà dall’8 al 22 settembre 2019, mentre dal 22 al 27 sarà al Teatro Verdi di Padova.

Le Fils d’Arlequin perdu et retrouvé è uno scenario scritto da Goldoni per la Comédie-Italienne e ivi rappresentato l’11 luglio 1761 per essere ripreso poi a Fointanebleau nell’ottobre 1762, a due mesi dal suo arrivo a Parigi. Giunta in terra di Francia probabilmente grazie al primo amoroso della Comédie Francesco Antonio Zanussi a cui Goldoni, dopo essersi assicurato l’ingaggio, poteva aver consegnato il manoscritto per sondare la risposta del pubblico e degli attori anticipatamente al suo arrivo, questa comédie mêlée d’ariettes in cinque atti è intricatissima e ricca di colpi di scena, tra sete di denaro, passioni amorose ostacolate e duelli farseschi.

Drammaturgia dell’autore e drammaturgia degli attori

Il regista Marco Zoppello ha adattato lo scenario riducendolo a tre atti e mantenendo viva l’importanza della musica, inserendovi qualche brano cantato. Celio diventa Florindo; Dorina e Scapin, rispettivamente l’amante di Filene e il servo di Pantalone, vengono assorbiti in Marionette, colei che sa i segreti del vecchio tirchio. Camilla, moglie di Arlecchino, qui dall’accento siciliano, dà alla vicenda un inaspettato tocco mediterraneo. Protagonista assoluto della commedia è Arlecchino, il bravo Stefano Rota, non nella versione “gatto” di Zoppello ma “cane” (per la precisione Carlino, in onore della somiglianza della maschera col muso dell’animale), non più vittima dei padroni ma artefice del proprio destino.

Zoppello scrive un testo classico, ma anche molto moderno, rendendo evidente come, seppur a distanza di secoli, rimangano attuali temi quali il rapporto padre-figlio e moglie-marito, la gelosia, l’innamoramento, il ricorso all’astrologia per dipanare le coltri degli intrighi, i meschini tornaconti economici alle spalle altrui. Forse è più drammaturgia d’attori che d’autore, ma lo spettacolo funziona, anche nella sua misurata interazione con il pubblico.

Il ritmo imposto dal regista è ben sostenuto dai sei giovani attori professionisti della Compagnia Giovani del Teatro Stabile del Veneto, nata dal progetto TeSeO – Teatro Scuola e Occupazione con il sostegno della Regione Veneto: Matteo Campagnol, Alice Centazzo, Emaunele Cerra, Marco Mattiazzo, Emilia Piz e Francesca Sartore.

Le scene di Alberto Nonnato ricordano obbligatoriamente i palchi dei comici dell’arte, una pedana, una porta e un telero da sfondo, così come i tradizionali costumi disegnati da Lauretta Salvagnin, ricchi di colore. Le luci di Paolo Pollo Rodrighiero avvolgono la vicenda in tinte ora sognanti, ora cruente. Belle le maschere di Roberto Maria Macchi.

Successo di pubblico alla recita del 18 luglio.

Luca Benvenuti