Il latte dei sogni – Biennale Arte 2022

Cecilia Alemani presenta la 59°Esposizione Internazionale d'Arte

Presentata oggi in conferenza stampa la 59° Biennale Arte di Venezia, curata da Cecilia Alemani e intitolata The Milk of Dreams – Il latte dei sogni, titolo che si riferisce a un libricino dell’artista surrealista Leonora Carrington.

L’Esposizione Internazionale d’Arte del 2022 si annuncia ricca di nuove partecipazioni, riscoperte e riflessioni, una fitta trama di opere che la curatrice intesse attorno a tre tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi, la relazione tra individui e tecnologie, la connessione tra corpi e terra.

Felipe Baeza, Por caminos ignorados, por hendiduras secretas, por las misteriosas vetas de troncos recién cortados, 2020. Photo Ian Byers-Gamber. Courtesy Maureen Paley, London. © Felipe Baeza

I numeri parlano chiaro: 213 artiste e artisti partecipanti (di cui 26 italiani) provenienti da 58 nazioni, 80 nuove produzioni, 1433 tra opere e oggetti presenti in mostra. Si tratta di un progetto complesso che ha impegnato Alemani, il suo team e il team della Biennale in una lunga ricerca.

“Il latte dei sogni”, a partire dai disegni che Carrington realizzava per i suoi bambini sulle pareti di casa, libera fantasie oniriche e narrazioni fantascientifiche che nutrono l’idea del postumano. Le riflessioni degli artisti in merito al presente e al futuro producono metamorfosi di corpi, ibridazione degli esseri, simbiosi tra uomo-macchina e uomo-natura. Citando Alemani “un mondo in cui tutti possono trasformarsi e divenire altro”. Non vi è dubbio che questa Biennale ha captato i segnali della nostra epoca, considerando i cambiamenti in atto dettati dalle lotte sociali ed economiche e dalla situazione globale dopo anni di pandemia; processi che agiscono da forza propulsiva per la creazione di nuove narrazioni e al contempo contribuiscono a riformulare la Storia.

Noah Davis, Isis, 2009. Courtesy The Estate of Noah Davis; David Zwirner. © The Estate of Noah Davis

Come spiega la curatrice “molti artisti stanno immaginando una condizione postumana, mettendo in discussione la figura universale del soggetto bianco occidentale come misura di tutte le cose e del mondo, contrapponendogli alleanze diverse, corpi fantastici ed esseri permeabili”.
“Un’effervescenza creativa” che arriva a formulare la fine dell’antropocentrismo sul nostro pianeta. Se la pandemia ha messo in discussione le nostre presunte certezze svelandoci quali corpi fragili, minacciati da un’invisibile forza e in un rapporto ambiguo con la tecnologia, ora possiamo “immaginare un futuro in cui vi è comunione tra gli esseri, in un rapporto non gerarchico, in armonia e simbiosi”.

Birgit Jürgenssen, Missing Limbs, 1974. Photo Pixelstorm. VERBUND COLLECTION, Vienna. Courtesy The Estate Birgit Jürgenssen, Vienna

Ma la mostra non guarda solo al futuro, Alemani ha infatti individuato una formula che connette anche presente e passato, tessendo una fluida rete di relazioni nella storia dell’arte, operazione che illustra così: “La mostra alterna opere e produzioni contemporanee a piccole mostre tematiche che ho chiamato ‘capsule del tempo’, che raggruppano opere di artiste e artisti del Novecento che affrontano, in un periodo diverso, i temi della mostra. Queste mostre hanno diverse finalità: in primis di interrogare la centralità di alcune Storie imposte nella storia dell’arte e raccontare storie considerate minori, poi mi interessava creare dei rimandi tra le opere storiche e quelle contemporanee che saranno allestite attorno, per creare delle diverse temporalità in mostra. Per questo la mostra è trans-storica: mette in dialogo il contemporaneo e il passato, includendo anche contro storie e storie di esclusione”.

L’allestimento delle capsule temporali è stato realizzato grazie alla collaborazione con il duo di designer Formafantasma. Al Padiglione Centrale ai Giardini le capsule saranno tre: La culla della strega, Tecnologie dell’incanto e Corpo orbita, mentre all’Arsenale saranno due.

Andra Ursuţa, Predators ‘R Us, 2020. Courtesy the Artist; David Zwirner; Ramiken, New York. © Andra Ursuta

La culla della strega fa riferimento all’opera di Maya Deren (Witch’s Cradle) e presenta le opere di “artiste, danzatrici, scrittrici che adottano la frammentazione del corpo per contrastare l’idea dell’uomo rinascimentale, superare i dualismi in favore di relazionalità fluttuanti.” Si tratta di artiste connesse alle avanguardie del Novecento quali surrealismo, futurismo, Bauhaus o al movimento Harlem Renaissance, come Remedios Varo, Leonor Fini, Gertrud Arndt, Carol Rama, Jane Graverol, Meta Vaux Warrick Fuller, Dorothea Tanning, Baya Mahieddine. Alcune opere saranno esposte per la prima volta in Italia. Tra le artiste contemporanee che riprendono le tematiche della capsula vi sono Christina Quarles, Andra Ursuţa, Adoma Owusu, Sara Enrico e Chiara Enzo.

Lenora de Barros, POEMA (POEM), 1979_2014. Photo Fabiana de Barros. Courtesy the Artist; Gallerie Georg Kargl Fine Arts, Vienna; Bergamin & Gomide, São Paulo

La seconda capsula – Tecnologie dell’incanto indaga “la relazione tra il corpo e la tecnologia, riflette sull’idea di membrana e di schermo. Racchiude al suo interno un gruppo di artiste italiane degli anni Sessanta vicine all’arte cinetica e programmata. Attraverso un linguaggio astratto e cibernetico, riflettono su astrazione e corpo e anticipano le preoccupazioni odierne in merito alle tecnologie”. Sono Laura Grisi, Nanda Vigo, Grazia Varisco, Marina Apollonio, Lucia Di Luciano, Dadamaino. Tra le contemporanee troviamo Ulla Wiggen, Agnes Denes, Lillian Schwartz, Lenora de Barros.

Alexandra Pirici, Aggregate, 2017–2019. Photo Andrei Dinu. Courtesy the Artist. © Alexandra Pirici

Corpo orbita studia la relazione tra corpo e linguaggio, la capsula è ispirata alla mostra “Materializzazione del linguaggio”, parte della Biennale del 1978 e curata dall’artista Mirella Bentivoglio. Vengono qui esplorate le forme espanse del linguaggio attraverso opere di artiste, scrittori e scrittrici e perfino medium. In mostra compaiono opere di Mary Ellen Solt, Tomaso Binga, Unica Zűrn e Minnie Evans, così come la documentazione fotografica delle sedute di Osapio Palladino e Linda Gazzera. Per la parte contemporanea partecipano Amy Sillman, Jacqueline Humphries, Carla Accardi, Vera Molnár.
Infine, sempre ai Giardini, vi saranno ulteriori installazioni di Paula Rego, Cecilia Vicuña, Merikokeb Berhanu, Mrinalini Mukherjee e nel giardino Scarpa Simone Fattal e Alexandra Pirici.

All’Arsenale cambia l’atmosfera perché lì il nucleo della ricerca è il rapporto tra individui e terra, spesso indirizzato verso anfratti più specifici come le comunità locali, i miti e le piccole narrazioni che toccano questioni di rilevante importanza sociale. Gli artisti utilizzano tutte le tecniche per esprimersi: dal video alla carta, dal filo all’argilla cruda. Sono Belkis Ayon, Ficre Ghebreyesus, Portia Zvavahera, Gabriel Chaile, Eglė Budvytytė e Zheng Bo, Britta Marakatt e Jaider Esbell.

Bridget Tichenor, La Espera (The Wait),1961. Photo Javier Hinojosa. Private Collection. © Estate of Bridget Tichenor

Il lungo titolo della prima capsula temporale dell’Arsenale Una foglia, una zucca, un guscio, una rete, una borsa, una tracolla, una bisaccia, una bottiglia, una pentola, una scatola, un contenitore è una citazione dall’opera di Ursula K. Le Guin, autrice che addita un recipiente/sporta quale prima invenzione tecnologica dell’uomo, a torto spesso considerata la lancia del cacciatore. In questa capsula emergono dunque varie e fantasiose forme organiche, scolpite, dipinte o plasmate da Ruta Asawa, Toshiko Takaezu, Bridget Tichenor, Maria Bartuszová, Aletta Jacobs (la prima donna laureata in medicina nei Paesi Bassi). Accanto a queste “fantasie” vi sono le opere degli artisti contemporanei Frantz Zéphirin, Magdalene Odundo, Pinaree Sanpitak, Saodat Ismailova, Roberto Gil de Montes, Felipe Baeza, Delcy Morelos, Prabhakar Pachpute, Ali Cherri, Ibrahim El-Salahi, alcuni dei quali sono saldamente legati alla loro comunità e riflettono su tematiche colettive (colonialismo, ambiente, immigrazione, corpi queer…).

Geumhyung Jeong, Toy Prototype, 2021. Installation view, National Museum of Modern and Contemporary Art, Korea. Photo Kanghyuk Lee. © Geumhyung Jeong

L’ultima capsula si intitola La seduzione di un cyborg (titolo tratto dall’opera di Lynn Hershmann Leeson) che propone nuove combinazioni tra umano e artificiale. La sezione attinge da Dada, Bauhaus e futurismo, espone Marianne Brandt, Marie Vassilieff, Anna Coleman Ladd, Aleksandra Ekster, Regina Cassolo Bracchi, Kiki Kogelnik. Tra gli artisti contemporanei – Marguerite Humeau, Raphaela Vogel, Tetsumi Kudo, Mire Lee, Tischan Hsu, Geumhyung Jeong, Lynn Hershman Leeson, Diego Marcon – la figura umana tende a scomparire per lasciare spazio ad altre entità animali o robotiche. Nella parte finale delle Corderie vi sarà un’installazione di Barbara Kruger e un giardino entropico di Precious Okoyomon.

Sono confermate le installazioni nell’area esterna dell’arsenale – di Giulia Cenci, Virginia Overton, Solange Pessoa, Wu Tsang e Marianne Vitale. Così come proseguono sia la collaborazione con il Victoria and Albert Museum (rappresentato dall’artista Sophia – Al Maria, che ne rilegge la collezione di automi), sia la presenza della Biennale Arte a Forte Marghera con l’opera di Elisa Giardina Papa.

Roberto Gil de Montes, El Pescador, 2020. Courtesy the Artist; Kurimanzutto, Mexico City _ New York

Come anticipava il presidente Roberto Cicutto, quest’anno La Biennale presenta la prima edizione di Biennale College Arte. Gli artisti, selezionati tra 250 partecipanti, che vedranno esposte le loro opere all’interno della mostra principale sono Ambra Castagnetti, Andro Eradze, Kudzanai-Violet Hwami, Simnikiwe Buhlungu.

Infine Cecilia Alemani ha illustrato il progetto grafico di questa Esposizione Internazionale d’Arte, rappresentata da 4 diverse immagini che riprendono un dettaglio significativo – la porta del corpo: gli occhi – direttamente da quattro opere esposte in mostra. Le immagini saranno utilizzate anche per il catalogo, un volume ricco di interventi critici e accademici. Tra questi vi è il testo della filosofa Rosi Braidotti, più volte citata da Cecilia Alemani, che nel pensiero postumano vede “la fine della centralità dell’uomo, il farsi macchina, il farsi terra”.

https://www.labiennale.org/it/arte/2022