Incantarsi: il Venetiko Rebetiko di Giovanni Dell’Olivo

È un periodo che Giovanni Dell’Olivo e il Collettivo Lagunaria sono più che mai presenti. Per citare qualche appuntamento recente, sono stati alla Bocciofila di San Sebastiano (con un pubblico record, più di trecento spettatori, la maggior parte dei quali non superava i trent’anni), poi all’Hotel Aquarius, subito il giorno dopo, e poi all’isola della Certosa, un confine straordinario tra la realtà e il cielo. Non paghi, Dell’Olivo e compagni hanno anche festeggiato l’alba a Jesolo e il giorno dopo si sono esibiti a Mirano.

Le formazioni variavano: ‘da camera’, per esempio, la Bocciofila e la Certosa, dove, oltre all’autore/cantante/attore ha primeggiato la straordinaria voce di Serena Catullo (come già scritto anni fa, tutti vorrebbero sentire i propri versi interpretati dalla sua ‘pesante’, virtuosa e incantevole leggerezza, ma questo è un altro discorso). Altre volte invece c’era una compagine più folta e composita. Il risultato è stato comunque sbalorditivo.

Il fatto è che Giovanni è indiscutibilmente l’erede e il ricostruttore della musica popolare veneziana. Questo in mille forme, dalla reinterpretazione di brani di un altro inestimabile poeta, Alberto D’Amico, purtroppo scomparso pochi anni fa, a inediti viaggi nel mondo piccolo ed enorme della città d’acqua. Nessuno può esimersi dal fare i conti con la sua arte e la sua perizia di poeta/musicista. Si direbbe una specie di ‘salinità del sangue’. Un canto stando a bordo.

Però non ci si può fermare qua. Perché nel tempo Dell’Olivo e il Collettivo Lagunaria sono andati anche lontani senza abbandonare le sacre sponde. Anzi, i musicisti vanno citati ora, prima di dimenticarcene: Alvise Seggi (contrabbasso, violoncello, oud e percussioni), Walter Lucherini (fisarmonica e bandoneon), Stefano Ottogalli (chitarra classica) e naturalmente l’angelica e famelica voce della già citata Serena, oltre, ovviamente, al colossale polistrumentismo dello stesso Dell’Olivo.

Tutto questo è risaputo. Però c’è dell’altro. E stiamo accennando a un vero e proprio capolavoro, una perla preziosa. Ci si riferisce a Venetiko Rebetiko, l’ultimo disco pubblicato. Si parlava di lontananze, ma in fondo i mondi sono molto vicini. L’idea creativa è costruire sponde, o meglio ancora ponti, su quello che è il Mediterraneo, specialmente su quello che ha rappresentato e tuttora rappresenta (morti a parte). Insomma, per dire la verità, e conoscendo molto a fondo il percorso di Giovanni, ci si ritrova in mano una specie di gioielleria. D’amore. Un amore che solca i mari, torna indietro e va avanti, tocca le rive della Grecia. Le undici tracce dell’album mescolano canzoni d’autore e incredibili traduzioni appunto dal greco, o meglio dal rebetico. Proprio in queste traduzioni si legge la sapienza dell’arte. Il disco è tutto straordinario, ascoltare per credere. Ma ognuno, naturalmente, ha le sue preferenze, come è accaduto a chi scrive ora qui. Dal numero 5 al numero 7 c’è un tripudio d’amore finito, malcapitato, danneggiato e anche ucciso. Dell’Olivo crea un piccolo, grande miracolo per farci comprendere un testo di Markos Vamvakaris, che in italiano suona come Ballata d’incorrisposto amor. Ci si trova un po’ disorientati, perché anche dopo molti tentativi di racconto fatti in proprio è davvero così come lo descrive lui: disinganno, morte addosso (che poi svanirà, come sempre), abbandono. Con il consueto sorrisetto ironico che contraddistingue il cantautore veneziano (non bisogna mai prendersi troppo sul serio), c’è un campionario dell’amore perduto. Poi si prosegue con Solo un’ombra nel buio, traduzione di un canto di Vassillis Tsitsanis:

Dell’amore per te solo un’ombra nel buio rimane

non so dove tu sia, se sei viva o tenuta in catene.

[…]

Perché scappare via così

amore mio, io ti aspetto, presto raggiungimi.

Tutto sommato siamo vicini al sublime. Quello che avrebbero voluto scrivere tutti gli abbandonati del mondo. Macchiato solo dalla violenza e dal sangue dell’Odissea di Alessandra, a cui nessuno credeva «come a Cassandra». Lei muore, pochi scherzi. C’è da augurarsi che tutti sappiano chi sia Cassandra, anche in futuro. Il testo originale è di Vaggelis Perpiniadis.

Sono solo poche suggestioni per un cd che – ve lo giuro – è davvero bellissimo, da sentire e risentire.

«Io ti ho amata per davvero e se ci penso piango

prima mi hai portato in cielo e poi dritto nel fango

Io credevo di averti e non sapevo

che era neve la fibra del tuo cuor».