La Tate Modern di Londra ospita, ancora per qualche settimana, l’esposizione dedicata a una delle coppie di artisti più note in ambito contemporaneo: Ilya e Emilia Kabakov.
I coniugi Kabakov sono conosciuti soprattutto per le loro installazioni, opere che hanno stupito i visitatori di varie rassegne di arte contemporanea e di musei internazionali. La mostra londinese non presenta moltissime installazioni, probabilmente sia per una scelta curatoriale che per un problema di spazi, ma il percorso delle opere esposte riesce comunque a trasmettere le intenzioni degli artisti e a instillare nel visitatore delle riflessioni sulla nostra società, passata e presente.
Ovviamente la società a cui le opere dei Kabakov fanno riferimento è quella sovietica, luogo in cui Ilya ha trascorso la maggior parte della sua vita (lui infatti è nato nel 1933 in Ucraina e solo nel 1987 ha ottenuto il visto per viaggiare al di fuori dell’URSS, mentre Emilia, più giovane di 12 anni, è emigrata negli USA nel 1973).
La mostra inizia presentando le prime opere di Ilya Kabakov, una serie di tele che si distanziano dall’arte che rappresentava all’epoca il regime sovietico e cioè il realismo socialista. Queste opere, a metà tra il figurativo e l’astratto, svelano alcune caratteristiche dell’artista: una propensione per il concettuale e anche una particolare capacità di creare storie e inventare personaggi. L’arte diventa una via di fuga da un sistema rigido, ma non solo, l’arte è utilizzata da Ilya come strumento di critica al regime e in particolare all’arte ufficiale. Ne è un esempio Tested! del 1981, un’opera tratta dall’originale del 1930 che ritrae una giovane donna mentre restituisce la sua tessera del partito in un clima di gioia e comprensione; come ci insegna la storia questa è una falsificazione della realtà, l’uso distorto del linguaggio visivo viene sottolineato e analizzato nel quadro di Kabakov. Questo tipo di attività era chiaramente rischiosa, infatti le opere di Ilya all’inizio potevano essere viste solo da una stretta cerchia di amici, opere pensate e realizzate mentre lui lavorava come illustratore di libri per bambini.
La prima installazione è del 1985, si tratta di The Man Who Flew Into Space from His Apartment, alla Tate la troviamo accanto ad altre due installazioni che narrano storie ambientate all’interno di un condominio. Ilya gioca con l’opposizione tra i sogni dell’individuo e la realtà di una dura vita in collettività, l’artista narra storie che si intrecciano in piccoli spazi dove gli oggetti sembrano assorbire l’anima delle persone.
Alla fine degli anni Ottanta inizia la collaborazione artistica tra Ilya e Emilia (si sposeranno poi nel 1992). Alcune celebri installazioni (realizzate o non) vengono presentate attraverso dei modellini, sono così esposte Where is Our Place? e Vertical Opera che riflettono sul ruolo dei musei nella società contemporanea, soprattutto sulla loro influenza culturale. A seguire il visitatore può interagire con l’installazione ambientale Three Nights o percepire l’angoscia di Not Everyone Will Be Taken Into the Future.
Giunti nel nuovo millennio la coppia di artisti continua a interrogare il passato, convinti dell’importanza della memoria. Ricordare è una delle attività più importanti, ma spesso il ricordo viene distorto o abbandonato, i dipinti raggruppati in Under the Snow trattano proprio questo problema. I quadri ritraggono momenti di un passato recente che emergono come macchie tra fitte pennellate bianche denunciando il tentativo della società presente di dimenticare o modificare il passato.
Arrivato quasi al termine della mostra, il visitatore si immerge in una delle installazioni più personali di Ilya Kabakov: Labyrinth (My Mother’s Album). Il labirinto costruito dall’artista non è altro che un lungo corridoio grigio che contiene, sotto forma di lettere e fotografie, la storia della vita della madre. Un percorso individuale che descrive però un’intera epoca, una memoria che non va persa.
Dopo l’esperienza del labirinto si riemerge pensierosi nel presente, per fortuna l’artista ci invita a proseguire esponendo una serie di disegni realizzati negli anni Settanta, storie fantastiche che rappresentano strategie di sopravvivenza al regime totalitario. Infine le ultime due stanze, che ospitano recenti progetti della coppia, chiudono il percorso riannodando i fili di quanto visto e presentando la figura dell’angelo: una metafora universale che riflette il sogno di libertà dell’umanità.