Noto per i suoi adattamenti live action dei più popolari seinen manga del momento, Inuyashiki – realizzato in contemporanea con la trasposizione di Bleach – è l’ultimo film di Shinsuke Sato, il quale porta per la terza volta sul grande schermo un’opera del fumettista giapponese alfiere della fantascienza Hiroya Oku.

L’anziano impiegato Ichiro InuyashikiNoritake Kinashi – vive una vita da incubo: disprezzato da moglie e figli, rischia di perdere il posto di lavoro con il mutuo ancora da estinguere. Una sera viene investito dall’esplosione di una strana meteora, nella quale il suo corpo viene sostituito da degli esseri misteriosi con uno interamente meccanico. La tecnologia avanzatissima di cui ora dispone gli permette di rendersi utile per il prossimo, ma non è il solo ad aver ricevuto questi poteri: quella notte con lui c’era anche uno studente di nome Hiro ShishigamiTakeru Sato –, il quale li userà invece per togliere di mezzo i suoi nemici. Starà a Inuyashiki-san tentare di salvare la città e la propria famiglia dalla furia omicida di Hiro.

Dopo Gantz e Gantz: Perfect answer, anche la più recente – se non contiamo le variazioni sull’universo di Gantz, che continuano tutt’oggi – serie a fumetti di Oku ha potuto guadagnarsi il proprio anime prima e il primo lungometraggio con attori in carne e ossa poi, mostrando le medesime debolezze dei suoi due cugini di cui sopra. Le colpe vanno tuttavia equamente ripartite: da un lato abbiamo un soggetto originale che porta la firma di Oku, un autore il cui talento grafico mal si sposa con l’incapacità di portare a termine una storia in modo convincente; dall’altro c’è la sceneggiatura approntata da Hiroshi Hashimoto, che ha espunto le sfumature più interessanti per confezionare una pellicola adatta a tutti: un’operazione suicida, se si considera che il seinen ha un target che è impossibile eludere, a meno che non si sia disposti a tradire l’integrità dell’originale.

Accade così che le vendette sanguinarie di Hiro nei confronti dei compagni di scuola e il suo movente vengano estremamente semplificati, così come per il mal di vivere di Inuyashiki: tutto viene ridotto ai minimi termini secondo una contrapposizione manicheistica Bene/Male tipica dei peggiori cinecomic, quando in realtà nel fumetto originale la riflessione sulla figura dell’eroe c’è, ed è molto più complessa di quanto possa trasparire dal film. Rattoppando con effetti speciali e sonori esagerati, combattimenti mal coreografati e mal girati e rallentatori a più non posso, Sato cerca di dare un tono a un’opera che già in principio claudicava all’interno del proprio medium.

Con la lunghezza e il comparto attoriale che si ritrova, Inuyashiki può solo ricorrere a innumerevoli trucchi ottici per costringere lo spettatore a non lasciare la sala, ma le cartucce da sparare non sono poi tante e si esauriscono in dei testa a testa poco appaganti. Con la sua ultima fatica Sato distrugge anche quel poco che del lavoro di Oku si poteva salvare.