Invelle del regista italiano Simone Massi è l’unico film di animazione presentato all’interno della categoria Orizzonti all’80. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

È il 1918 e Zelinda, una bambina contadina, è costretta a crescere troppo velocemente: si avvertono ancora gli echi della guerra e deve assumersi il peso della casa sulle spalle, venendo costretta, così, a sacrificare la propria istruzione. La madre ormai non c’è più e il padre è in guerra.

È il 1943 e Assunta, una bambina contadina, è costretta a vivere le angherie di padroni e nazisti, che non sembrano risparmiare nessuno. La sua esistenza è grigia se non fosse per un vestito colorato che si cuce da sola.

È il 1978, Aldo Moro nel frattempo è già stato prima rapito e poi ucciso, e a Icaro, un bambino contadino, viene fatto pesare il sentimento di riscatto nei confronti di un passato difficile per i suoi antenati: deve fare ciò che loro non hanno mai potuto fare.

L’animatore Simone Massi propone le storie di tre bambini italiani estrapolati da contesti storico-culturali ben diversi tra loro, ma, alla fine dei conti, simili. Sono tutte storie di infanzie impunemente rubate dalla storia partendo dagli sgoccioli della prima guerra mondiale, passando per gli sconvolgimenti di un’Italia che stava venendo liberata, fino ad approdare a quella che parrebbe finalmente la pace per lo Stivale. Finalmente è arrivata la Repubblica e con lei il welfare, eppure iniziano ad esplodere le bombe e le persone ad essere rapite per questioni ben lontane dal mondo di un bambino.

Zelinda, Assunta e Icaro sono tutti appartenenti a famiglie contadine e non riescono, nonostante gli sforzi immani, a godere nè di una rivincita sociale nè, tantomeno, di una rivincita generazionale. È improbabile che, date tali promesse, non vengano in mente le novelle verghiane per la totale sfiducia in un qualsiasi progresso, così come in quella di un’emancipazione da padre a figlio.

È all’interno di un tale contesto che, allora, capiamo il perchè venga riproposto quasi con insistenza il mito di Icaro e come, poi, uno degli stessi protagonisti ne porti il nome: è pericoloso avvicinarsi troppo al Sole, fare il passo più lungo della gamba, perchè più in alto si vola, più in là ci si spinge dalla sicurezza della casa e di un selciato già percorso dai propri avi, più rovinosa sarà la caduta (di nuovo sentiamo lo stesso Verga col suo ideale dell’ostrica).

In Invelle, però, il dettaglio che potrebbe infastidire la visione dello spettatore è proprio la tecnica con cui è realizzato: molto scura, come se fosse una matita o un carboncino su foglio, che cambia continuamente da frame frame.